Dittico contemporaneo

La Fondazione Haydn di Bolzano e Trento presenta in prima assoluta i vincitori del concorso Oper.a 20.21 Fringe

Gaia
Gaia
Recensione
classica
Teatro Sociale di Trento, Teatro Studio di Bolzano
Oper.a 20.21 Fringe,
22 Febbraio 2018 - 24 Febbraio 2018

La terza stagione lirica firmata da Matthias Lošek ha portato in scena a Trento e a Bolzano, nell’ultimo week end di febbraio, due nuovi progetti di teatro musicale contemporaneo, selezionati esattamente un anno fa attraverso un apposito concorso. Il bando, uscito nel 2016 con il nome di Oper.a 20.21 Fringe, era rivolto – citiamo - «a progetti di ogni forma di teatro musicale (opera, musical, danza, performance) che fossero connotati da una forte impronta contemporanea, senza pregiudizio se essa fosse nell’elemento musicale, nella messa in scena o nella rilevanza sociopolitica della sua drammaturgia». Unica limitazione: l’appartenenza (per residenza, nascita o attività) al territorio dell’Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino da parte dei soggetti proponenti.

Le oltre quaranta proposte giunte alla Fondazione Haydn sono state esaminate da una giuria presieduta da Eva Kleinitz (direttrice generale Opéra national du Rhin) e formata dal compositore Giorgio Battistelli, Hannah Crepaz (direttrice artistica Osterfestival Tirol), Barbara Minghetti (allora presidente del Teatro Sociale di Como, oggi nuovo direttore artistico dello Sferisterio di Macerata), Axel Renner responsabile della comunicazione Bregenzer Festspiele) e Luca Veggetti (regista e coreografo). Il verdetto ha premiato Gaia del compositore Hannes Kerschbaumer e Curon / Graun – La storia di un paese affogato di OHT – Office for a Human Theatre di Rovereto.

Entrambi accomunati dalla tematica del paesaggio naturale visto come natura oltraggiata dall’uomo, i due spettacoli hanno presentato una realizzazione assai diversa, nelle scelte artistiche come nel risultato. La prima cui abbiamo assistito al Teatro Sociale di Trento (venerdì 23 febbraio) è stata Curon / Graun (toponimo italiano e tedesco di un paesino della Val Venosta, in provincia di Bolzano) e ci ha lasciato perplessi sulle motivazioni che abbiano portato alla sua scelta, o, più semplicemente, non abbiamo colto quale elemento di questo progetto possa essere individuato come un nuovo progetto di teatro musicale con una forte connotazione contemporanea. Trattavasi di un concerto con l’esecuzione, senza soluzione di continuità, di due composizioni di Arvo Pärt (tre versioni di Fratres e infine Cantus in memory of Benjamin Britten) da parte dell’Orchestra Haydn (concertatore e violino solista Stefano Ferrario), accompagnata da videoproiezioni su schermo che riprendevano e rappresentavano il campanile che svetta solitario dalle acque del Lago di Resia, storia di un bacino artificiale per la produzione di energia elettrica realizzato dalla Montecatini nel 1950 con la conseguente cancellazione di un paese, delle sue case e del suo cimitero. Accanto alla musica ieratica di Pärt, nessun canto, nessuna voce recitante, nessun gesto attoriale, solo il campanile “affogato”, ripreso nella realtà e portato in scena con modellini di diverse dimensioni (uno proiettato, uno gigante presente materialmente sul palco nel finale).

L’odissea umana, lo sfollamento delle famiglie, lo spostamento del cimitero, le difficoltà ed il disagio vissuto dagli abitanti di Curon lungo trent’anni di decreti ed opposizioni, veniva solo accennata all’inizio (proiezione di un testo). Inaspettatamente (nulla di voluto o preparato) entrava, invece, con forza a conclusione dello spettacolo, durante una breve conversazione con gli artisti, grazie all’intervento di una persona presente in platea. La voce piena di emozione era quella di un abitante di Curon che, da bambino, aveva assistito all’esodo di una piccola comunità. La rilevanza sociopolitica della drammaturgia, come indicato nel bando di questo concorso, era decisamente a portata di mano nella storia del campanile di Resia, ma è stata solo sfiorata. In effetti, lo stesso Filippo Andreatta, ideatore di Curon / Graun assieme a Paola Villani, nell’intervista sul palco dopo lo spettacolo, spiegava come, per riportare il paesaggio dentro il discorso drammaturgico, l’idea iniziale fosse stata quella di lavorare sul suono della campana, utilizzandolo come elemento scenico, e che da lì, poi, avevano pensato al campanile di Curon, per l’assenza fisica della campana.

Con gli interrogativi lasciati in sospeso dalla prima opera vincitrice di FRINGE, assistiamo alla seconda, Gaia, che viene rappresentata al Teatro Studio di Bolzano (sabato 24 febbraio). L’idea riprende dichiaratamente un film austriaco di fantascienza (Homo sapiens, di Nikolaus Geyrhalter, 2016) e porta in scena una astronauta che, ritornata sulla terra, si ritrova in un paesaggio desolato e desertico, abitato da corpi carbonizzati (con esplicito riferimento a Pompei), alla ricerca di ricordi dell’umanità che fu, con un finale aperto sulla possibilità di un’estinzione definitiva o di una rinascita provvidenziale. Se l’argomento non è certo nuovo (anzi, un classico nella cinematografia), la realizzazione parla contemporaneo: dai paesaggi sonori creati ad hoc da Hannes Kerschbaumer, all’utilizzo di testi (scritti appositamente da Gina Mattiello e scelti dai libri di Raoul Schrott) dove parole affastellate vagano in cerca di un significato; dalla scenografia creata con le sculture di Aron Demetz, quotato artista gardenese, al complesso ed intrigante gioco di proiezioni luminose e suoni elettronici ideati da Federico Campana; sino alla spasmodica coreografia del danzatore Hygin Delimat, che si contrappone alla recitazione fissa, quasi immobile, dell’attrice “astronauta” Gina Mattiello.

Osservando gli stilemi artistici utilizzati in questo spettacolo, si può sicuramente aprire un’interessante discussione su quali siano i confini temporali dell’aggettivo “contemporaneo” nell’arte. In musica, per esempio, quali sperimentazioni novecentesche sono ormai vissute come obsolete, e quali invece caratterizzano ancora adesso un suono del XXI secolo? Aldilà di questo lecito dibattito, Gaia mostra di avere una sua precisa idea estetica, ben orchestrata da una regia a sei mani (Kerschbaumer, Campana, Mattiello) dove tutto è interconnesso e spaziale (qui nel senso della dimensione, non della fantascienza) e dunque equilibrato. Materico e tridimensionale è il suono, che cerca negli strumenti la concretezza del rumore e la stereofonia (buona la prova dell’Orchestra Haydn diretta dal giovane Leonhard Garms), così come il legno carbonizzato e il bronzo graffiato delle statue, ruvide e scure in una scena buia dai toni neri. Materica è la luce delle videoproiezioni (perlopiù bianca siderale, con qualche rosso pulsante) che definisce e attraversa lo spazio della scena grazie all’utilizzo di un telo e del fumo scenografico.

Con il paesaggio apocalittico di “Gaia”, si conclude l’anima contemporanea della stagione lirica bolzanina, il cui calendario terminerà ad aprile con un nuovo allestimento di Traviata per la direzione musicale di Sebastiano Rolli, la regia di Andrea Bernard e i vincitori del 55° Concorso Internazionale Voci Verdiane Città di Busseto (Bolzano, Teatro Comunale, 21 e 22 aprile).

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