Da Bellini alla Georgia con Abesalom ed Eteri
Il Teatro catanese ha proposto uno dei titoli fondativi dell’opera nazionale georgiana
Prima della ripresa stagionale, il mese di settembre non sta trascorrendo in ozio per il Teatro Massimo Bellini: anzitutto, il Teatro è al centro di un’articolata rete istituzionale che, su impulso dell’Assessorato Regionale alla Cultura, sta realizzando anche nel 2024 una kermesse belliniana: Belliiniana, appunto, è la sua nuova denominazione, ferma restando la già rodata disseminazione delle iniziative nelle tre maggiori città siciliane e l’attenzione per il contesto – storico-estetico, drammaturgico, compositivo – della figura di Bellini. Questo tipo di appuntamenti, in mancanza di un allestimento scenico di una sua opera (La straniera sarà eseguita in forma di concerto) e nel proliferare della formula del gala lirico-sinfonico, sembrano – al netto della curiosità per alcune composizioni richieste ‘ad hoc’ – le proposte più interessanti: la conversazione tenuta da Candida Billie Mantica, profonda studiosa dell’opera italiana dell’Ottocento, ha illuminato sulle consapevoli strategie dispiegate da Bellini su tutti i fronti – situazione produttiva, definizione della struttura drammatica, elaborazione della sostanza melodica – per approdare a una matura drammaturgia musicale, nello specifico I puritani.
Il Quartetto di Catania, formato da tre valenti strumentisti dell’Orchestra del Massimo Bellini (Marcello Spina, Gaetano Adorno, Alessandro Longo) più Augusto Vismara quale primo violino, ha fatto rivivere due Quartetti per archi medio-ottocenteschi di compositori nati a Catania, Giovanni Pacini (1796-1867) e Salvatore Pappalardo (1817-1884): rarissimi e preziosi ascolti, primizie di un più vasto progetto discografico sui due (autori entrambi di ben sette quartetti), e testimonianza di come la rinnovata seminagione cameristica mitteleuropea riuscisse in Italia ben feconda, purché trovasse terreno fertile. La vicenda quartettistica di Pacini non è però legata al Meridione, bensì alla Toscana, mentre quella di Pappalardo si dipana a Napoli, nei circoli collegati a Paganini; un’attitudine alla condotta brillante del primo violino affiora in effetti qua e là, così come quella lirico-cantabile da melodramma in alcuni episodi, ma senza sbilanciare l’equilibrio delle trame: i classici, fino al Beethoven centrale, erano stati assimilati, declinati con un’inclinazione alla stratigrafia contrappuntistica in Pappalardo (maestro tra gli altri di Martucci) e un’attenzione verso interessanti soluzioni formali in Pacini (ad es. nel Minuetto – in realtà Scherzo – del Quartetto n. 2, con la ripetizione variata e molto compressa della prima parte). Attenta, fluida, ben disegnata l’interpretazione del Quartetto di Catania.
Il Massimo Bellini è poi tornato ad ospitare nel 2024 i complessi dell’Opera di Stato di Tbilisi, nel quadro di una consolidata partnership internazionale, e a proporre con loro uno dei titoli fondativi dell’opera nazionale georgiana firmati da Zacharia Paliashvili (1871-1933): l’anno passato toccò alla più tarda Daisi, stavolta a Abesalom ed Eteri, la cui esecuzione scenica nel 1919 – a Rivoluzione già avviata pure in Georgia – sancì l’affermazione personale di Paliashvili, tanto che il titolo è regolarmente incluso ancor’oggi nella stagione dell’Opera di Tbilisi. Ascoltandone la musica, non è difficile rinvenire i modelli da Glinka a Borodin e a Rimski-Korsakov, pure per il ricorso a una saga popolare per il soggetto (un profumo alla Čajkovskij è infrequente, ma non assente), cui si aggiungono precisi riferimenti alle sonorità melodico-vocali tradizionali autoctone, riconoscibili sopra i pedali armonici e nella condotta a bordone soprattutto dei cori maschili, memore del canto ortodosso. Ma è sorprendente che scattino ogni tanto sensazioni di déjà-entendu – sia melodiche sia timbriche – puntate verso il primissimo Stravinskij, segno che una koiné popolareggiante, portatrice d’inquietudine verso i pilastri linguistici della tonalità, non era in quel periodo questione solo moscovita o sanpietroburghese. Sul piano drammaturgico, pur non mancando insiemi solistici accattivanti, la tendenza è a valorizzare la spettacolarità collettiva, sia nei cori sia nelle fascinose danze (a Catania realizzate dalla Compagnia ‘Nanila’), riducendo sotto il minimo sindacale - come nel 2° atto - gli accadimenti drammatici. Se Coro e Orchestra del Massimo Bellini, guidati con generosità di gesto da Zaza Azmaiparashvili, si son dovute cimentare – positivamente – in un titolo inedito, non minore impegno è venuto dai solisti di canto dell’Opera di Tbilisi, che hanno commutato la loro abituale lingua nell’italiano di una versione ritmica eseguita qui in prima italiana.
Pubblico piacevolmente numeroso (la serata era fuori abbonamento), e molto plaudente.
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