Crudele Edison: "Tone Test" al Lincoln Center Festival

In parte cantata, in parte parlata, Tone Test di Nicholas Brooke, in prima mondiale al Lincoln Center Festival, è una alquanto inusuale opera da camera per due cantanti-attori e grammofono. Il grammofono è stato piazzato dal regista David Herskovits in modo tale da essere sempre ben in vista eppure leggermente scentrato come ad enfatizzarne il ruolo, in apparenza marginale, di mero riproduttore. Esso non viene in realtà impiegato dal vivo ma lo si sente tramite registrazioni su nastro, le quali presentano un montaggio di alcuni degli "Edison Diamond Discs" e che rispecchiano con una certa fedeltà il catalogo di Edison intorno al 1917. I brani spaziano dal "Non credea" di Bellini a un Foxtrot ("One Rose in the Back"), dal vaudeville alle ballate irlandesi, dall'aria della Regina della Notte mozartiana allo yodeling alpino (e le sue trasformazioni in terra country). A dare il via, è una registrazione della pubblicità dello stesso Edison, che non si sa se dire permeata di "aura" oppure terrificante, la quale recita: "I am the Edison Phonograph..."

Recensione
classica
Lincoln Center New York
Nicholas Brooke
24 Luglio 2004
In parte cantata, in parte parlata, "Tone Test" di Nicholas Brooke, in prima mondiale al Lincoln Center Festival, è una alquanto inusuale opera da camera per due cantanti-attori e grammofono. Il grammofono è stato piazzato dal regista David Herskovits in modo tale da essere sempre ben in vista eppure leggermente scentrato come ad enfatizzarne il ruolo, in apparenza marginale, di mero riproduttore. Esso non viene in realtà impiegato dal vivo ma lo si sente tramite registrazioni su nastro, le quali presentano un montaggio di alcuni degli "Edison Diamond Discs" e che rispecchiano con una certa fedeltà il catalogo di Edison intorno al 1917. I brani spaziano dal "Non credea" di Bellini a un Foxtrot ("One Rose in the Back"), dal vaudeville alle ballate irlandesi, dall'aria della Regina della Notte mozartiana allo yodeling alpino (e le sue trasformazioni in terra country). A dare il via, è una registrazione della pubblicità dello stesso Edison, che non si sa se dire permeata di "aura" oppure terrificante, la quale recita: "I am the Edison Phonograph..." Le registrazioni sono soggette a suggestive, illuminanti, nonché brutali manipolazioni, tagli, montaggi e vengono presentate ora in alternanza alle voci dei cantanti, ora a loro sovrapposte in dense, ma mai gratuite, cacofonie. A queste Brooke ha in alcuni momenti anche aggiunto della musica originale per sintetizzatore. Questa musica, di stampo minimalista, crea un mantello sonoro che si distingue chiaramente per timbro, materiale melodico e ritmo armonico. Essa avvolge il parlato e in alcuni casi si sovrappone alla già esistente cacofonia di voci, parole, motivi musicali, come a suggerire un livello discorsivo trascendentale ovvero a fungere da cornice sonora per le musiche, i suoni e l'azione della scena. Alla base del libretto, anch'esso di Brooke, vi sono le esperienze di Edison sulla riproducibilità della voce degli anni dieci e venti del novecento e in particolare i cosiddetti "Tone Tests", piccole messeinscena curate da Edison stesso per pubblicizzare e creare un mercato per i propri strumenti di registrazione e riproduzione. Durante questi test, che avevano normalmente luogo in sale di concerto, Edison invitava gli spettatori a confrontare la qualità ("tone") delle voci registrate con quelle dei cantanti presenti in sala in carne ed ossa. La musica sentita proveniva ora dal grammofono ora dalla bocca dei cantanti. Lo spazio scenico veniva rimodellato in modo da sembrare un salotto della casa media americana -- il grammofono, si rammenti, si proponeva di "portare i grandi cantanti nella vostra casa"; le luci venivano abbassate in modo da lasciare il cantante nell'ombra, e talvolta gli spettatori venivano bendati. Il tutto era regolato ad arte in modo da creare l'illusione della massima oggettività dei risultati. La parola stessa "test", del resto, la dice lunga sulla volontà di Edison di dare un taglio "scientifico" a queste dimostrazioni. Ma le cose stavano altrimenti. Edison, inventore il cui genio è fuori discussione ma anche businessman senza scrupoli, chiedeva ai propri cantanti di imitare il più possibile il suono del grammofono se non addirittura di simulare il canto così da predeterminare l'esito del confronto. Non si sa se esseri sconcertati più dalla spregiudicatezza di Edison nell'inscenare tali spettacolini di pseudo-scientificità o dall'implicito disprezzo verso quel popolino con un minimo di stabilità economica che era il suo pubblico e cliente principe, popolino per il quale l'acquisto del grammofono aveva un valore simbolico di raggiunta rispettabilità, e la cui ingenuità e credulità Edison dava evidentemente per scontata. L'enorme fotografia che campeggia incontrastata sull'unica parete di fronte alla platea, ritraente un Edison sorridente e sornione, lascia pochi dubbi sul fatto che lo spettacolo si fondi su un apprezzamento a tutto tondo di questa straordinaria figura, sempre in bilico tra storia e mito, talento visionario e impareggiabile attitudine al compromesso, quando non addirittura la frode. Veicolo principale dal 1915 in poi dei "Tone Test" fu la soprano Anna Case, che prima di darsi a tempo pieno al progetto di Edison vantava una carriera di tutto rispetto (incluse alcune scritture all'allora già prestigioso Metropolitan Opera). Edison ne amava, oltre alla figura e la personalità -- si dice, ma la voce non fu mai confermata, che fossero amanti -- la voce: povera di vibrato e quindi ideale allo scopo di minimizzare la differenza tra ciò che è vivo e ciò che è riprodotto. Brooke ha colto appieno l'aspetto crudele del rapporto tra Edison e la Case creando un personaggio che nonostante l'apparente sicurezza e la perfetta immedesimazione nel ruolo è ridotto al ruolo di automa. Vendutasi a un'impresa squisitamente commerciale, la Case si è vista costretta a conformare la propria voce a quella di un grammofono. Si tratta di una compromissione doppia e irreversibile, sottolineata da Brooke caratterizzando la Case come persona incapace di uscire dal proprio ruolo. Brillanti montaggi sonori ne esprimono la progressiva perdita di sensibilità nei confronti del suono così come l'incapacità -- una prospettiva davvero terribile -- di distinguere la se stessa che canta da quella riprodotta. Si tratta di un destino che segna anche la vicenda del secondo personaggio, Ben, collocato temporalmente sei decenni più avanti, nel 1981, e perduatamente innamorato della voce-oggetto Case e, come lei, confuso sul suo statuto. Il pubblico la capacità di distinguere la mantiene invece per tutta la durata dello spettacolo. Le continue dissolvenze tra registrato e cantato, così come le occasionali coincidenze, puntellano l'opera con scadenza tanto regolare quanto suggestiva. Ma se da un lato l'opera garantisce allo spettatore questa posizione di confortevole controllo, essa è anche ricca di vere e proprie "aggressioni" nei confronti del pubblico: crudeli rimontaggi di melodie amate, ripetizioni al limite dell'irritazione, improvvisi sbalzi di volume, incoerenze nel trattare i due personaggi, i quali talora si ignorano completamente, come vuole peraltro la differente collocazione nel tempo, talora, in flagrante contraddizione, si parlano e riconoscono. Ma tutto ciò è essenziale ai fini della mimesi totale dell'esperienza edisoniana che sembra essere l'obbiettivo finale di Brooke: la ricreazione di un esperimento che nel dare l'impressione di esercitare il totale controllo su quanto visto e sentito finisce per manipolare e infine minare quelle stesse facoltà cognitive e sensoriali che di tale controllo sono la premessa.

Interpreti: Anna Case, Dina Emerson

Orchestra: Philip Glass Ensemble

Direttore: David Herskovits

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.