Contemplare il suono
Convincente debutto milanese di Nils Frahm al Piccolo Teatro Studio "Melato"
Recensione
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Un’operazione "a cuore aperto" con protagonisti un gran coda, un pianoforte verticale a corda singola, il cui timbro evoca il clavicordo, un Fender Rhodes e un Roland Juno-60: insomma, ci sono tutti gli ingredienti di un feticismo tecnologico che inscena la nostalgia dell’acustico e dell’analogico. Ma Nils Frahm si mantiene sapientemente sotto la soglia dell’esibizionismo. Non c’è infatti performance nel senso spettacolare del termine, semmai la danza in un teatro mentale, in cui alla massiccia fisicità degli strumenti si oppone l’esile figura del loro demiurgo. Frahm ha la rara capacità di stabilire un contatto quasi intimo con il pubblico, annullando la "quarta parete" – in questo aiutato dall’azzeccata location del Piccolo Teatro Studio – fino a confondersi nella folla all’uscita del concerto per vendere i propri dischi per la strada.
La sua è una musica che non ha presunzione di novità, infatti non è nuova, nella misura in cui attinge al post-minimalismo (vengono in mente Steve Reich e Arvo Pärt), aggiungendovi però il piacere fisico dell’esplorazione dello spettro timbrico e dinamico e dell’incastro di fitte poliritmie. Le squadrate fondamenta binarie del ritmo e la scarnificata tavolozza armonica mettono in salvo l’ingrediente "pop", ancorandosi alla scena techno ambient, al tastierismo psichedelico di un Richard Wright, così come all’immaginario audiovisivo di un Hans Zimmer. Il tutto favorisce un’atmosfera contemplativa, con punte di lirismo nordico nei momenti in cui Frahm si rifugia nel piano solo – forse gli unici in cui "pecca" di auto-indulgenza (narcisistica o sentimentale?) generando qualche lungaggine. Una musica semplice ma non superficiale, una semplicità che è orizzonte poetico, raggiunta tramite un rigoroso design sonoro e meditata essenzialità.
Interpreti: Nils Frahm: pianoforte a coda, pianoforte verticale, Fender Rhodes, Roland Juno-60, elettronica.
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