Charles Rosen 1927-2012
Un ricordo del musicologo-pianista
Recensione
classica
Una parola che mi piace poco, e che cerco di non usare mai, è "genio".
Non perchè non creda alla genialità, tutt'altro, piuttosto per l'uso un po' superficiale che se ne fa, da qualche tempo a questa parte, nel mondo della musica, anche in riferimento a fenomeni commerciali che di geniale hanno soltanto i metodi di promozione.
Se però dicessimo che l'America - oltre che il mondo -, nel giro di un mese, ha perso due geni della musica, nessuno potrebbe obiettare alcunché.
In ambiti diversi, Elliott Carter e Charles Rosen sono stati in grado di riscaldare il nostro universo di suoni, di colorarlo e renderlo più bello e confortevole. Con le loro idee, la loro creatività, il profondo rigore con cui interrogavano la bellezza.
Rosen era nato a New York 85 anni fa. Newyorkese, dunque, come il suo grande amico Carter, che però apparteneva alla generazione precedente (diciannove anni separavano i due musicisti).
Rosen cominciò gli studi pianistici in età talmente precoce da consentirgli di studiare con un allievo (e che allievo!) di Franz Liszt, Moritz Rosenthal, grandissimo pianista con una tecnica portentosa, testimoniata da registrazioni (mi pare si tratti di rulli Ampico) che impressionano ancora - si pensi allo studio sulle terze di Chopin.
La enorme conoscenza della musica - mai pedante ma sempre illuminata dall'intuizione - la chiarezza di pensiero libero da ogni dogmatismo, la meravigliosa felicità di scrittura, portarono ben presto Rosen a estendere la sua attività alla musicologia. In realtà il pianista americano non è mai stato un musicologo nel senso stretto del termine. È stato un interprete che, con intelligenza e sensibilità non comuni, ha voluto capire, conoscere, rifiutando il comodo ruolo di mero esecutore.
Ottimo strumentista in grado di affrontare pagine di stupefacente difficoltà come quelle di Carter, ma anche di interpretare con efficacia Schumann, Chopin e soprattutto Beethoven, Rosen ha avuto, assieme a pianisti come Robert Miller, Gilbert Kalish, Ursula Oppens, Paul Jacobs - per restare all'area newyorkese - un ruolo propulsivo nell'ispirare alcuni tra i maggiori compositori americani nel periodo che va dal secondo dopoguerra a tutti gli anni Ottanta.
Oggi i suoi libri sono un pilastro per musicisti e pianisti appena dotati di curiosità. Mi riferisco in particolare a Lo Stile Classico, Le Forme Sonata e La generazione romantica. Ma è con un piccolo libro, Piano Notes (EDT) che vorrei invitare i lettori a scoprire Rosen. In questo libro si leggono perle di intelligenza e "laicità" che sono, al tempo stesso, una sintesi del pensiero e della figura complessiva di Rosen. Un esempio tra tanti: «L'esecuzione non meditata e non pianificata - e questo è un fatto incontrovertibile della moderna vita concertistica - è generalmente molto meno spontanea, molto più prigioniera dell'abitudine, di quella che mette in discussione il punto di vista della tradizione, in cui l'esecutore interroga i propri istinti. Il musicista che si è arreso alla tradizione ha abbandonato la possibilità di mantenere in vita la tradizione stessa». E, per finire: «Il rifiuto per il modernismo è comprensibile, e non ha bisogno di difese o di scuse. Non è uno stile facile da affrontare. Invece va rigettata la critica di coloro i quali, scimmiottando il bambino ingenuo della favola del re nudo, sostengono che noi che amiamo i capolavori difficili del nostro tempo stiamo solo facendo finta. La nostra società ha un'assurda tolleranza per gli oscurantisti che vorrebbero negare la rilevanza delle arti e delle scienze che non capiscono. Il messaggio è una semplice celebrazione dell'ignoranza: ciò che io non capisco non è degno di essere capito. Possono meritare la nostra comprensione, ma in ultima analisi non c'è nessuna ragione per starli a sentire».
La enorme conoscenza della musica - mai pedante ma sempre illuminata dall'intuizione - la chiarezza di pensiero libero da ogni dogmatismo, la meravigliosa felicità di scrittura, portarono ben presto Rosen a estendere la sua attività alla musicologia. In realtà il pianista americano non è mai stato un musicologo nel senso stretto del termine. È stato un interprete che, con intelligenza e sensibilità non comuni, ha voluto capire, conoscere, rifiutando il comodo ruolo di mero esecutore.
Ottimo strumentista in grado di affrontare pagine di stupefacente difficoltà come quelle di Carter, ma anche di interpretare con efficacia Schumann, Chopin e soprattutto Beethoven, Rosen ha avuto, assieme a pianisti come Robert Miller, Gilbert Kalish, Ursula Oppens, Paul Jacobs - per restare all'area newyorkese - un ruolo propulsivo nell'ispirare alcuni tra i maggiori compositori americani nel periodo che va dal secondo dopoguerra a tutti gli anni Ottanta.
Oggi i suoi libri sono un pilastro per musicisti e pianisti appena dotati di curiosità. Mi riferisco in particolare a Lo Stile Classico, Le Forme Sonata e La generazione romantica. Ma è con un piccolo libro, Piano Notes (EDT) che vorrei invitare i lettori a scoprire Rosen. In questo libro si leggono perle di intelligenza e "laicità" che sono, al tempo stesso, una sintesi del pensiero e della figura complessiva di Rosen. Un esempio tra tanti: «L'esecuzione non meditata e non pianificata - e questo è un fatto incontrovertibile della moderna vita concertistica - è generalmente molto meno spontanea, molto più prigioniera dell'abitudine, di quella che mette in discussione il punto di vista della tradizione, in cui l'esecutore interroga i propri istinti. Il musicista che si è arreso alla tradizione ha abbandonato la possibilità di mantenere in vita la tradizione stessa». E, per finire: «Il rifiuto per il modernismo è comprensibile, e non ha bisogno di difese o di scuse. Non è uno stile facile da affrontare. Invece va rigettata la critica di coloro i quali, scimmiottando il bambino ingenuo della favola del re nudo, sostengono che noi che amiamo i capolavori difficili del nostro tempo stiamo solo facendo finta. La nostra società ha un'assurda tolleranza per gli oscurantisti che vorrebbero negare la rilevanza delle arti e delle scienze che non capiscono. Il messaggio è una semplice celebrazione dell'ignoranza: ciò che io non capisco non è degno di essere capito. Possono meritare la nostra comprensione, ma in ultima analisi non c'è nessuna ragione per starli a sentire».
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