ChamoiSic, altra musica in alta quota
Torna l'eclettico festival valdostano, dal violoncello ai pigmei aka
ChamoiSic, rassegna musicale di "altra musica in alta quota", promossa dall'Associazione Culturale Fonosintesi, in collaborazione con il Comune di Chamois, diretta ancora una volta con gusto e intelligenza dal trombettista torinese Giorgio Li Calzi, giunge quest'anno alla sua quattordicesima edizione.
E continua, come da tradizione, a collocarsi fuori dalle imperanti logiche commerciali, confermando il proprio legame con la musica contemporanea, sperimentale, elettronica, improvvisata e non da ultimo dal (e del) mondo, perseverando nell'accostare audacemente linguaggi musicali differenti, lontani e al contempo vicini,
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Tema dell'edizione di quest'anno, culminata, come sempre, nella immersiva tre giorni allestita nel luminoso, abbarbicato, incantato Comune di Chamois (Valtournenche, Aosta), dal quale sono scrupolosamente bandite le auto a motore, è stato il "Vivente", a sottolineare l'importanza della musica come imprescindibile forma d'arte in grado di riconnetterci con quella natura dimenticata dalla nostra cultura.
Ed è così che, a 1800 metri di quota, raggiungibili solo per mezzo di una vertiginosa funivia, un ispirato duo, composto dal sornione bresciano Emanuele Maniscalco, a basso elettrico, utilizzato in funzione prevalentemente percussiva, e tastiere (il sontuoso synth polifunzionale Oberheim OB 6, speciale combinazione di tecnologia MIDI e analogica, a tratti sorta di vera e propria immaginifica beat box), e dall’eclettico musicista torinese Ramon Moro, a tromba e flicorno amplificati, ha avuto l’occasione di eseguire, nella giornata inaugurale di venerdì 21 luglio, un vero e proprio "concerto per cani" (una produzione originale del festival di quest’anno, apparentemente apprezzata dagli amici a quattro zampe), prevalentemente improvvisato, e però declinato a partire dal canovaccio di un loro precedente elegante album intitolato Dreams, in perfetto equilibrio tra il primo jazz elettrico davisiano, la psichedelia più eterea e prospettica e le spaziali ipnotiche fantascientifiche visioni dal futuro del compianto Vangelis.
Oppure che il coro spontaneo, tutto singolarmente al femminile (ma è vero che gli uomini spesso migravano lontano, in cerca di un sospirato lavoro), del Gruppo Folkloristico Val Resia (isolata valle pre-alpina del Friuli Venezia Giulia, non lontana dal confine sloveno), abbia modo di presentare, nel pomeriggio di sabato 22 luglio, i propri antichi – pur se ancora decisamente attuali – canti all’unisono. Sono eseguiti rigorosamente nell'"intatto" dialetto proto-slavo, tipico dell’appartata valle, e tutti sono intensamente incentrati sul rapporto spirituale, quasi mistico, tra valligiani e avvolgente, misterioso, montano, amabile ed al contempo temibile (da ingraziare) ambiente naturale.
“Vivente", dicevamo, proprio come (per l’appunto) non possono che esserlo le tavole armoniche ed il suono – comunicativo, saldo, avvolgente, preparato, multi-espressivo, “polivocale” – del prezioso violoncello del virtuoso Francesco Guerri, musicista cesenate di rigorosa estrazione classica, che nel tempo ha saputo mirabilmente abbandonarsi alle tecniche e alle modalità di quella meno ortodossa musica eurocolta contemporanea, capace di valorizzare, prescindendo così dal cristallizzato riferimento notazionale, più “coraggiose” pratiche estemporanee ed improvvisative. Fino a lambire, se non abbracciare, la fondamentale lezione umana e creativa delle avanguardie neroamericane (non a caso, in questo senso, Guerri ha avuto modo di collaborare, tra gli altri, con musicisti del valore di Butch Morris e William Parker).
Guerri, nel pomeriggio di sabato 22 luglio, sollecitato dalle puntuali domande di Valerio Corzani, autore e conduttore di RadioTre, ha avuto modo di presentare al pubblico, per il podcast "Lo strumento è la mia casa", registrato direttamente dal vivo sul palco della rassegna, qualità e caratteristiche del proprio speciale strumento d’elezione. Nel dopocena, programmato presso l’accogliente Hotel Bellevue, ha poi finito per incantare, oltre che “strapazzare”, le orecchie dei fortunati ascoltatori presenti nella piccola sala del rifugio, attoniti di fronte alle infinite, "mostruose" capacità espressive del suo violoncello.
E ancora ”Vivente”, ripetiamo, proprio come possono tornare ad esserlo gli ormai logorati standard del jazz quando fortunatamente vengono rivisitati a mo’ di pretesto, e quindi rianimati, per giocare, divertirsi, sperimentare, perfezionare una ravvicinata intesa, cercando di non prendersi troppo sul serio. Proprio come, nella serata del 22, sono riusciti puntualmente a fare, presso i luminosi ambienti del ristorante Chez Pierina, l’agile vocalist (torinese d’adozione) Sabrina Oggero Viale e il pirotecnico “decano” dell’organo Hammond in Italia, il maestro, anch’egli originario di Torino, Alberto Marsico.
Sempre a proposito di natura e di profonda connessione ed armonia con l’ambiente naturale circostante, il momento certamente più intenso, se non addirittura commovente, dell’intera tre giorni è stato senza dubbio quello dedicato alla prolungata conferenza, esibizione e concerto (unica data italiana in collaborazione con il Festival Angelica di Bologna) di un quintetto di Pigmei Aka, un gruppo di musicisti e musiciste, cantanti, danzatrici e danzatori (tre donne e due uomini), denominato Ndima (“foresta” in lingua yaka), originari appunto delle foreste della Repubblica Democratica del Congo, accompagnati dall’etnologo bantou – vero e proprio mediatore culturale (dall’atteggiamento forse un po’ troppo dirigista) – Sorel Eta, autore dell’interessante volume L'université de la forêt. Avec les Pygmées Aka (PUF, 2022).
I pigmei, a dare ascolto alle ardite teorie di un allievo di Alan Lomax come Victor Grauer, insieme ai boscimani, sarebbero uno dei popoli più antichi della terra, probabilmente tra i più vicini, dal punto di vista genetico, visto il loro stato di estremo isolamento, ad alcuni dei nostri più ancestrali progenitori, risultando quindi in più stretta familiare connessione con la storia misteriosa, profonda, non scritta, del nostro avventuroso passaggio sul pianeta.
La loro cultura di cacciatori-raccoglitori, purtroppo in via di estinzione, è tutta da proteggere, tramandare, salvaguardare (anche se non certo da imbalsamare, mettere sotto vuoto). Mentre la straordinaria complessità polifonica dei loro canti in yodel; il loro modo di distribuire in progressione “migrante” le diverse parti vocali e gli accenti componenti il dinamico tessuto ritmico/melodico di un tema musicale (tecnica che la nostra musica antica chiamerà hoquetus - una maniera per dire che la musica è nata in Africa ed è sempre stata polifonica); e ancora l’intreccio stratificato e “selvatico” (nel senso proprio di allegoricamente ramificato, intricato, pur se fluente, “naturale”) delle loro avvincenti poliritmie, costituiscono ancora oggi una delle forme espressive più avanzate e organizzate del nostro modo di fare musica. Tanto che viene quasi da pensare che nelle decine di migliaia d’anni successive alla messa a punto di queste suggestive mirabolanti tecniche musicali – su per giù gli ultimi centomila anni (?) – nulla o quasi di significativo sia stato nel frattempo aggiunto).
E quindi, in un tardo e assolato pomeriggio domenicale, nella giornata conclusiva del 23 luglio, questo ristretto gruppo di valenti piccoli grandi uomini e donne del centro Africa, da una decina d’anni abituato a lasciare la propria foresta per girare il mondo e avere l’opportunità di diffondere il proprio nutriente retaggio culturale, è stato capace di ricordarci mirabilmente, in un raro e prezioso momento d’incontro, tutta l’eredità (loro e al contempo anche nostra) di cui sono “magici” portatori, attraverso la densa presentazione di una vera e propria “musica dal profondo”.
Se, come detto, quello pigmeo è stato certamente il momento più emozionante di ChamoiSic 2023, quello invece senza dubbio più entusiasmante, se non addirittura esaltante, è stato – nella giornata di sabato 22 – quello innervato dal concerto (unico appuntamento italiano) degli energici, sulfurei, elettrici, tambureggianti Al-Qasar, con nell’occasione ospite la magnetica vocalist sudanese, residente a New York, Alsarah, alias Sarah Mohamed Abunama, figlia di esuli politici e attivisti per i diritti umani.
Nuova scoperta della specializzata etichetta world del celebre musicista e produttore statunitense, da tempo residente a Lubiana, Chris Eckman – stiamo ovviamente parlando della Glitterbeat, con la quale il gruppo ha inciso lo scorso anno il dinamico album d’esordio Who Are We? – gli Al-Qasar sono una giovane e effervescente band internazionale, tutta composta da musicisti e musiciste e di diversa provenienza ed estrazione, formatasi a Parigi nel quartiere di Barbès.
Sono capaci di condensare, in un fresco amalgama musicale – tenuto addirittura a battesimo da Lee Ranaldo dei Sonic Youth – feroci groove arabeggianti, accattivanti melismi mediorientali, una baluginante psichedelia globale, il ribollente power rock di ultima generazione cosmopolita e la sensuale e ipnotica musica nordafricana.
In quel di Chamois la band è trascinata dal leader e fondatore Thomas Attar Bellier, impegnato al saz distorto e alla chitarra elettrica, sostenuto a sua volta dalla solida progressiva propulsione ritmica del basso metronomico di Guillaume Théoden e della batteria di Paul Void, sì da meglio lanciare nello spazio sonoro le evoluzioni delle due incantatorie vocalist in azione sul palco (il nome della seconda non siamo riusciti a comprendere, né a rintracciare). Mancano la voce estatica, intrisa di cadenze e cultura gnawa, del cantante marocchino Jaouad El Garouge, oltre che le tradizionali percussioni persiane e nordafricane suonate da Nicolas Derolin. Nonostante ciò, Al-Qasar ha fornito una appassionante dimostrazione delle sue molteplici potenzialità, riuscendo a infiammare con il suo "folklore urbano", indicativo specchio delle nostre società sempre più interconnesse e multiculturali, un pubblico gremito ed entusiasta, nel frattempo radunatosi sul caratteristico selciato della principale piazzetta del piccolo villaggio valdostano.
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