Chamoisic 1 | Percorsi della chitarra
Fred Frith incanta in solo a ChamoiSic 2016
Recensione
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La settima edizione di ChamoiSic, manifestazione d’alta quota (anche metaforicamente), a cura dell’Associazione Insieme a Chamois, con la direzione artistica del trombettista Giorgio Li Calzi (sempre attento ai nuovi suoni, e però mai dimentico di origini e provenienze), si è aperta con l’eccezionale concerto del chitarrista, polistrumentista, compositore e improvvisatore inglese Fred Frith, co-fondatore nel 1968 (ma ovviamente non solo) dello storico gruppo di avant-rock Henry Cow, e fratello di Simon Frith, pioniere della sociologia del rock.
Le note degli Henry Cow sono state una delle esemplificazioni plastiche di una musica che stava diventando totale (fusione composita e comprensiva – rielaborazione già post moderna ? – di jazz, rock e sperimentazione contemporanea), concettuale e riflessiva (sì), ma al contempo febbrile, estemporanea. Nella caratteristica piazzetta di Chamois, Frith (che tra gli altri ha suonato con Derek Bailey, Robert Wyatt, John Zorn e Bill Laswell, dimostrando nel tempo di sapersi muovere agilmente tra improvvisazione radicale, lirismo pop, jazz ed elettronica) non ci è parso discostarsi particolarmente dai suoi abituali percorsi improvvisativi, ormai ampiamente storicizzati (è vero), almeno dal punto di vista critico, ma sempre ipnotici e illuminanti.
Con la semiacustica decisamente elettrificata, tenuta quasi sempre alla maniera di una pedal steel, e il supporto di qualche intrigante live elettronics, Frith si è prodotto in un’innumerevole quantità di ammalianti effetti sonori (timbrici, ritmici, melodici), magari aleggianti su pedali sapientemente costruiti, optando ovviamente per l’informalità e la frammentarietà del discorso musicale (non disdegnando, al contempo, una certa “cantabilità” floydiana), in questo coadiuvato anche dalla predilezione per la [i]concretezza[/i] (sia discreta, che irruente): le corde della chitarra venivano colpite da bacchette, “srotolate” da un laccio, sfregate da pennelli, solleticate da un archetto, oppure “sciacquate” da cascate di piccoli oggetti. Frith, insomma, ci ha ancora una volta mirabilmente ricordato che «i suoni (come ha scritto l’antropologo Iain Chambers) ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale storica capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente».
Il festival [a href="http://www.giornaledellamusica.it/news/?num=118337"]prosegue fino a domenica[/a].
Interpreti: Fred Frith: chitarra e live electronics.
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