Cajkovskij prima del Muro di Berlino
Alla Monnaie una Dama di picche con l'incisiva la direzione di Nathalie Stutzmann
Ha atteso due anni, fermata dalla pandemia, questa nuova produzione della Dama di picche di Čajkovskij che finalmente è andata in scena alla Monnaie senza essere bloccata nuovamente da considerazioni politiche estranee all’arte. Il regista ungherese David Marton ha trasportato la storia alla fine del periodo sovietico proponendo come elemento visuale centrale un brutto condominio con l’intonaco cadente, che si apre e gira per evocare i diversi ambienti, onnipresente la radio e non poteva mancare in questo contesto una scena di spaccio di calze di contrabbando, con i protagonisti che indossano i brutti vestiti, già fuori moda per l’Occidente, che i russi ancora indossavano prima della caduta del muro di Berlino. Inoltre il regista ha inserito una nuova figura in scena, quella dello stesso compositore, interpretato dal pianista Alfredo Abbati, che apre e chiude lo spettacolo circondato da quinte azzurrine che richiamano il colore del teatro Mariinskij a San Pietroburgo dove l’opera è stata creata nel 1890. Ma entrambe queste idee, non apportano nulla di nuovo all’opera, anzi le scene firmate da Christian Friedländerl, collaboratore abituale del regista, lasciano con un sentimento di mancanza sia della bellezza della natura, della sua poesia, tanto evocata sopratutto nelle arie iniziali, in contrasto con la tragedia umana che sta per compiersi, e si prova pure un nostalgico sentimento di privazione dello splendore degli ambienti nobiliari russi di fine Ottocento che sono innegabilmente pure elemento che fa amare le opere di Čajkovskij. Il visuale è però in alcuni momenti più carico di significato, ad esempio, quando il giocatore Hermann è interamente circondato da rombi in bianco e nero con effetti ottici che danno l’impressione concreta dell’illusione e della dipendenza ossessionante senza vie d’uscita. Anche l’intermezzo pastorale, omaggio di Čajkovskij a Mozart, funziona trasformato in una improbabile recita condominiale con i personaggi in costume, anche il pianista è vestito di pelli e clava, che poi diventano degli ironici dubbi e incubi che rincorrono danzando.
La parte musicale è più sostanzialmente interessante, sia per la direzione di Nathalie Stutzmann che per la bravura degli interpreti. L’ex contralto Stutzmann, al suo debutto sul podio della Monnaie, regala un’interpretazione molto asciutta e precisa della partitura di Čajkovskij, raffinata e attentamente descrittiva, melodiosa e romantica ma per niente melensa, a tratti un po’ forte, non si può negare, ma complessivamente una lettura moderna della Dama di Picche, più moderna della regia. E’ innegabile comunque che l’orchestra, sopratutto all’inizio, copre un po’ la bella voce del tenore russo Dmitry Golovnin nei panni di Hermann, ma la sua intensa interpretazione melodica, compensa la mancanza, sopratutto iniziale, di volume. Molto bello il suo duetto con il principe Yeletsky, interpretato dal baritono sudafricano Jacques Imbrailo, perfetto per la parte, in cui si contrappongono la disperazione del primo e la felicità del secondo. Non delude le attese poi il soprano russo Anna Nechaeva come Liza, qui nel suo repertorio d’elezione dove brilla per il suo bel timbro lirico drammatico. Ha un qualcosa di dandy, attraente con i suoi capelli a caschetto lunghi anni ‘60, poi il conte Tomsky interpretato dal baritono francese Laurent Naouri, mentre non sono centrati i personaggi della Contessa e di Polina, malgrado siano entrambi affidati a due bravi mezzosoprani svedesi: la prima, interpretata da Anne Sofie Von Otter, è stata trasformata dalla regia in una nobile vecchina decaduta a cui manca però la scintilla del diabolico; la seconda, Charlotte Hellekant, è penalizzata dall’apparire, in contrasto con quel che canta, una Polina piuttosto volgare. Apprezzabile il coro diretto dal maestro tedesco Christoph Heil, al suo debutto alla Monnaie.
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