Buoni propositi ma scarsi risultati per Oliviero Toscani
Recensione
classica
Di buone intenzioni, si sa, è lastricata a volte la via che conduce all'Inferno. E le operazioni visuali, provocatorie (come scordare le campagne per la Benetton ?) di Oliviero Toscani hanno da sempre diviso il pubblico: genio o mistificatore ? Riflessioni che nascevano anche ascoltando l'opera multimediale "Those who speak in a faint voce" – prodotta dalla Pocket Opera Company di Norimberga – che, dopo la prima a Basilea (2001) e una esecuzione a Norimberga (2002), nell'ambito delle iniziative promosse dalla Comunità Europea contro la pena di morte, è approdata in prima europea a Milano (Teatro Franco Parenti) prima di una tournée che toccherà anche New York. La parte musicale è composta da Andrea Molino, che, sul solco di un teatro musicale innovativo e multimediale attento all'impegno sociale, ha già composto, sempre sul tema della pena di morte (e sempre in collaborazione con Toscani), "Live from Deathrow".
Più cantata scenica che opera in senso stretto, "Those who speak in a faint voice" (inserito in un ciclo di manifestazioni su "L'umanità del boia" in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera e l'associazione Nessuno Tocchi Caino) offre una camera scura sul cui fondale, su tre schermi, si avvicendano cinque serie di proiezioni realizzate da Toscani: interviste ed immagini girate nei bracci della morte delle carceri statunitensi, un tentativo di dare volto a quelle paure dei senza-volto che condannano a morte in nome di un desiderio di vendetta mascherato da giustizia. Andrea Molino ha composto poco più di un'ora di una musica densa, vigorosa, sostenuta da una tensione forte, da una drammaturgia musicale efficace, che è la parte migliore di tutta la serata: lo asseconda meravigliosamente il Klangforum Wien, in una caleidoscopica prova di alta musicalità, assecondando Molino, in vesta anche di direttore, nella ricerca di tremoli diafani degli archi, nelle liquide evanescenze delle percussioni, nella poliritmicità (a volte tra il gusto spanish e quello rap) con cui accompagna il frenetico inseguimento delle immagini video (su tutti i bravi musicisti una citazione merita il sax di Gerald Preinfalk, solista di articolatissimo fraseggio e capace di una ricchezza dinamica, sia pur appiattita da una amplificazione eccessiva). I testi (di Shakespeare, Victor Hugo, Kahil Gibran, Erich Fromm, W.H.Auden) incuneati più sopra la musica che non dentro sono letti da David Moss, ed alternati a confessioni, dichiarazioni, emozioni di condannati alla pena capitale; a Moss si affiancano Andrea Mirò ed Enrico Ruggeri, che la regia di Peter Beat Wyrsch (ripresa da Thomas Dietrich) pone ora sui ballatoi del Parenti, ora in platea tra il pubblico, a raccontare l'altro aspetto, quella della gente comune che sente ancora il bisogno di vendetta, che trova giusta la pena di morte. Artisti volenterosi e generosi, ma sicuramente tecnicamente poco adatti alla recitazione. Coloro che parlano con voce debole (questo il titolo in traduzione dell'opera) lasciano, a mio avviso, una carezza lieve nella nostra coscienza: dei sottotitoli (impossibile leggere il libretto in simultanea in un teatro buio) sarebbero stato indispensabili, ma anche dovere di cronaca imporrebbe di farci sapere, di quei volti che si raccontano ad Oliviero Toscani (le rirprese video sono di Rocco Toscani e Brice Compagnon), anche le ragioni della loro detenzione. Drammaturgia inesistente, ed inesistente la commozione e lo sdegno. In questo, Jake Heggie, con la sua Dead man walking (andata in scena a San Francisco nel 2000) dimostra che – sul tema della pena della morte – occorre anche saper maneggiare il senso del dramma (non a caso si apre con un violento assassinio e si conclude col silenzio agghiacciante su cui prorompe il progressivo aprirsi dei tubi della camera a gas). Toscani, da sempre, prima della rottura con Benetton, ha mescolato nelle sue campagne pubblicitarie la provocazione e l'impegno, lo shock e l'ironia; ma, personalmente, lo abbiamo considerato poco credibile. E purtroppo sono proprio le sue immagini a rendere debole la voce di quest'opera.
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