A Bruxelles il cigno grida
Romeo Castellucci studia Schubert

Recensione
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Coprodotto dal Teatro de La Monnaie e dal Festival di Avignone, dove è stato presentato l'anno scorso in anteprima nella serata conclusiva della rassegna, Schwanengesange (Il canto del cigno) è andato in scena adesso a Bruxelles, in solo due repliche, solo un'ora in tutto di spettacolo, lasciando qualche spettatore un po' insoddisfatto anche se si tratta di un allestimento, soprattutto nel finale, profondo e toccante come sono di solito i lavori di Romeo Castellucci. Il soprano Kerstin Avemo non sembrava adatta al contesto, una scena totalmente nera verso cui il soprano si volge e si confonde, sempre più chiusa in un dolore che appare in modo crescente incondivisibile quanto è grande e personale, e dopo aver un po' vagato a tentoni sparisce là, nel nero. La Avemo non coinvolge se non proprio quando sembra cantare, infine, solo per se stessa. Tecnicamente attenta ma affaticata e con note forzate. Pienamente nella parte e davvero molto brava invece l'attrice Valérie Dréville con cui il canto del cigno si trasforma in gride isteriche e domande ossessive rivolte alla sala sul perché ciascuno nel pubblico la sta guardando. La bellezza intrisa di nostalgia, tristezza e sofferenza dei lieder di Schubert è ribaltata così in urla di rabbia, e anche le luci si trasformano in lampi stridenti, e il pianista Alian Franco e la sua musica sono pure già andati via bruscamente. L'operazione di proporre Schwanengesange in una nuova forma teatrale attualizzata è centrata, ma al di là del come sono stati eseguiti i lieder, peccato anche che lo spettacolo duri così poco per essere un recital nella programmazione principale della Monnaie.
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