Bologna in maschera
Successo per l’inaugurazione di stagione con Un ballo in maschera
Recensione
classica
Un successo a furor di popolo che sancisce una volta per tutte il rinnovato amore tra il Teatro e la sua città, un successo espresso da un pubblico raramente così caldo, e non solo a un’inaugurazione di stagione, pur venendo da annate di splendidi allestimenti d’apertura, come il Macbeth di Bob Wilson e il Parsifal di Romeo Castellucci.
Di nuovo Verdi, allora, e Un ballo in maschera affidato a Michele Mariotti, già di casa a Bologna ma al suo debutto come direttore musicale, nomina anch’essa simbolo di un nuovo corso e di un’aria di positività che si respira, a Bologna, in inversione di tendenza rispetto ad altre piazze e auguriamo, naturalmente, che tendenza possa invece fare!
Ma torniamo al Ballo, che sotto l’aspetto visivo costituiva la ripresa del controverso allestimento scaligero di Damiano Michieletto, ambientato in un’America contemporanea, nella quale Riccardo deve giocarsi la partita elettorale. Forse i mugugni della Scala hanno spinto il regista a una parziale revisione per sottrazione, rispetto a un contesto considerato eccessivo e invece capace, ora, di mettere meglio in luce il lavoro anche attoriale dei singoli.
Singoli che sono emersi, in particolare nei ruoli principali, in maniera limpidissima, da Gregory Kunde, Riccardo struggente eppure così travolgente, a Luca Salsi, nei panni di un Renato sanguigno e vocalmente inappuntabile, e Maria Josè Siri, credibilissima e combattuta Amelia.
Mariotti riesce nell’amalgama di queste individualità, offrendo una lettura dalle più sottili sfumature, e facendo emergere quella sorta di lotta stilistica tutta verdiana tra carattere e cantabilità, che in questa prima bolognese ha raggiunto vertici sublimi.
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