Beethoven non abita più qui 

A Basilea va in scena la nuova creazione di Christoph MarthalerTiefen Graben 8, “un domicilio” con musiche anche inedite di Ludwig van Beethoven 

Tiefer Graben 8 (Foto Walter Mair)
Tiefer Graben 8 (Foto Walter Mair)
Recensione
classica
Basel, Theater Basel,
Tiefer Graben 8 
15 Dicembre 2024 - 06 Febbraio 2025

“Ci fu un tempo in cui Beethoven visse a Tiefer Graben. Il 2 aprile 1800 fu annunciata un’accademia musicale «a beneficio di Ludwig van Beethoven» e l'avviso recitava: biglietti per palchi nell’appartamento del Signor v. Beethoven, Tiefer Graben, terzo piano.” Lo ricorda Auguste Groner, giallista di successo, nel suo So war mein Wien del 1926, racconto della città attraverso la memoria di luoghi più o meno noti. Delle oltre 60 abitazioni occupate nei 35 anni trascorsi a Vienna, quella ai numeri 8-10 di Tiefer Graben (ricostruita come edificio piuttosto anonimo negli anni Sessanta dopo la distruzione delle bombe della seconda guerra mondiale) è soltanto una e forse nemmeno la più nota fra le residenze viennesi dell’infinito peregrinare di un Beethoven randagio, spinto da incomprensioni con i padroni di casa (è ben noto il suo temperamento collerico), dall’inquieta ricerca di ambienti più consoni alla sua creatività o più favorevoli alla sua precaria salute e certamente da difficoltà finanziarie. Ma proprio perché luogo di transito Christoph Marthaler nel suo più recente spettacolo per il Theater Basel, Tiefer Graben 8, significativamente sottotitolato “Ein Wohnsitz mit Musik von Ludwig van Beethoven” (Un domicilio con musiche di Beethoven), ne fa un luogo dove si incrociano i destini di un gruppo di personaggi in piena deriva esistenziale. Se il nome “Graben” proviene dall’antico fossato del castrum romano di Vindobona, non si può non pensare che “alla lettera” quel toponimo è anche la fossa, il luogo di sepoltura al quale è destinata la vecchia Europa così come l’abbiamo conosciuta finora e mai come oggi in piena crisi di identità: chi abita oggi in questa casa comune? Forse (nemmeno) Beethoven abita più qui. 

Frau Ida non si stanca di chiedere “Abita qua?” a tutti quegli stravaganti personaggi che affollano quel condominio che Anna Viebrockimmagina come un’accozzaglia di ambienti indistinguibili fra esterni e interni, con antichi ritratti appesi alle pareti, tre pianoforti verticali come relitti di una civiltà antica, una fuga di scale al centro, una fila di finestre anonime in alto dove una stella di tubi al neon occlude un cielo invisibile e di tanto in tanto scende giù. Hanno tutti nomi presi a prestito dai libri di Heimito von Doderer, personalità controversa e ultimo grande esponente di una schiatta di romanzieri da Musil a Canetti e soprattutto strutturalmente beethoveniano nell’ispirazione (il suo ultimo lavoro Roman Nr. 7, rimasto incompiuto, voleva riprendere in quattro romanzi i movimenti della Settima Sinfonia di Beethoven), questi protagonisti di vicende del sottobosco viennese: Rufina Seifert, che sente tutte le colpe del mondo e impazzisce, e il suo amante Adrian, che invece ritrova un nuovo slancio vitale, l’inappuntabile funzionario Julius Zihal che perde il senso della propria esistenza privato del lavoro, il molestatore Rambausek e la stessa Frau Ida, molestata mancata fortunosamente.

I frammenti di dialoghi, che sfiorano come sempre in Marthaler l’assurdo, sono contrappuntati da moltissima musica, tutta di Beethoven, più di ogni altro simbolo di una coscienza europea. A parte un paio di brevi passaggi della Missa Solemnis e un tema iniziale del Concerto per violino affidato però alle voci accompagnate dai caratteristici colpi di timpano, la musica è scelta fra le sue composizioni meno note. Si comincia con l’introduzione del Christus am Ölberg e si continua con brevi pezzi per ottoni e le ultime note scritte pochi giorni prima di morire, rielaborate dal curatore musicale Johannes Harneit in un canone a cappella sulle parole “Wir irren allesamt, nur jeder irret anders” (Tutti sbagliamo, solo che ognuno di noi sbaglia in modo diverso), che come altri frammenti di testo dello spettacolo tornano come un tormentone. 

Come sempre il sublime si sposa con lo stravagante in questa partitura per voci e orchestra congegnata dal regista svizzero che amalgama felicemente un cast composito di interpreti fedeli, con i cantanti Kerstin Avemo (Rufina Seifert), Lulama Taifasi (Döblinger), Andrew Murphy(Snobby) e i commedianti amici da una vita Ueli Jäggi (Adam), Raphael Clamer (Adrian), Martin Hug (Julius Zihal), Magne Håvard Brekke(Rambausek) e Nikola Weisse (Frau Ida), tutti magnificamente al servizio delle lucide stramberie marthaleriane così come il docile Coro del Theater Basel ben presente in scena. Sul podio della Sinfonieorchester Basel un altro antico sodale di Marthaler, Sylvain Cambreling, non cerca il segno autorale nel frammentario mosaico beethoveniano ma si mette completamente al servizio delle ragioni del palcoscenico, sul quale una perfetta appendice musicale è Bendix Dethleffsen, pianista irrequieto, complice un’arruffata criniera (posticcia) beethoveniana. 

Il finale non può essere più amaro. “L’Europa è in piedi! E gli anni col loro passo eterno, il coro dei popoli e i secoli antichi sollevano gli occhi stupiti!”: sono i versi che aprono la cantata Der glorreiche Augenblick (Il momento glorioso) commissionata a Beethoven per celebrare Vienna, nuova capitale d’Europa, e quel Congresso che doveva ricostruire il continente sulle macerie ancora fumanti prodotte dal sisma napoleonico. Ma non c‘è nulla di trionfale nel canto del coro che prolunga all’infinito la “e” dell’ultimo verso “Gib der grossen Völkerrunde auf den Anruf Red' und Kunde!” (Sollecita il grande circolo delle nazioni a parlare e raccontare!). E poi, ancora una volta, la trasandata Frau Ida chiede al vuoto davanti a sé: “Abita qui?”. Buio in sala. Applausi. 

 

 

 

 

 

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