Attila riconquista la laguna

Un nuovo allestimento dell’opera giovanile verdiana al Teatro La Fenice 

Attila (Foto Michele Crosera)
Attila (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Attila
16 Maggio 2025 - 24 Maggio 2025

Mentre a Roma si insedia il nuovo papa Leone, sul palcoscenico del Teatro La Fenice torna a vivere papa Leone Magno, colui che con la forza delle sole parole frena la furia di Attila e delle sue orde alle porte di Roma che “de' numi è il suol.” L’opera verdiana torna nel teatro veneziano dopo una decina di stagioni in un nuovo allestimento dalla cifra ultra tradizionale firmato dal regista Leo Muscato. La scenografa Federica Parolini costruisce sul palcoscenico un impianto fisso fatto di un pavimento fatto dalle sezioni di grandi tronchi – come quelli di quercia, larice e abete rosso che a milioni sostengono il peso degli edifici della città di Venezia – e pareti fatte di sottili tronchi secchi come di un paesaggio palustre, come quello di “Rio-Alto nelle Lagune Adriatiche” dove si rifugiano gli aquileiesi in fuga e rivivrà “qual risorta fenice novella, nostra patria, più bella della terra e dell'onde stupor!” Fiamme vere e suggestivi controluce su fondali luminosi (curatissimo il disegno luci di Alessandro Verazzi) regalano qualche bella immagine in uno spettacolo altrimenti con pochissime sorprese. Il resto è un tripudio di tuniche per gli aquileiesi, con lacerti di bellica romanità per Ezio e Foresto, colbacchi per gli unni e un bianco papale per Attila (come ovviamente per Leone Magno dotato di lunga mitra vescovile d’ordinanza) nei costumi di Silvia Aymonino che si direbbero ispirati all’iconografia delle vecchie raccolte delle figurine Liebig. 

Del resto questo Attila del primo Verdi ha da essere una festa di voci e il palcoscenico è certamente al servizio di quest’idea. Se il vocalmente e scenicamente baldanzoso Attila a torso nudo di Samuel Ramey, che trionfò sullo stesso palcoscenico nel 1987, con tanto di bis a furor di popolo della cabaletta “Oltre quel limite”, non è ormai che un lontanissimo ricordo (per gli assenti di allora non è difficile ripescarlo in YouTube), in quello di Michele Pertusi emerge soprattutto la pensosa maturità di un sovrano shakespeariano e quindi più credibile sul piano teatrale, specie nello sgomento davanti al monito del pontefice. L’Odabella di Anastasia Bartoli incarna perfettamente la ferina violenza e la rocciosa vocalità delle eroine del Verdi giovanile, come il Foresto di Antonio Poli rappresenta bene il lato più lirico di un ruolo che non esalta la dimensione eroica dell’interprete. Soffre, invece, l’Ezio di Vladimir Stoyanov, cantante solitamente attento allo scavo psicologico ma qui spinto a forzare per non soccombere ai volumi orchestrali. Bene l’Uldino di Andrea Schifaudo e funzionale il papa Leone di Francesco Milanese anche se piuttosto privo di solenne gravità. Di grande spessore i frequenti interventi del Coro del Teatro La Fenice, ormai coro laureato e rodatissimo in stagioni ad alta densità verdiana. 

Non va tanto per il sottile nemmeno la direzione di Sebastiano Rolliper questo Verdi giovanile, per il quale la definizione rossiniana di musicista “con l’elmo in testa” sembra perfetta, soprattutto nelle guerresche percussioni lanciate a briglia sciolta nelle vertiginose strette. Non aggiunge molto spessore musicale lo schema del rallentando eccessivo nei cantabili seguito dall’accelerando nelle cabalette, di cui Verdi fa largo uso nelle opere giovanili; al contrario, rischia di accentuare una certa meccanicità della costruzione drammaturgica, certamente di effetto sul piano teatrale ma ben lontana dai capolavori della maturità. L’Orchestra del Teatro La Fenice risponde talvolta con qualche impaccio ma offre una prova notevole di compattezza. 

Pubblico folto alla prima. Applausi convinti e chiamate. 

 

 

 

 

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