AngelicA, improvvisazione radicale da Evan Parker all'Oriente
A Bologna tre serate hanno presentato esperienze inedite e interessanti, anche orientali, di un genere ormai codificato ma in continua evoluzione
AngelicA 2018, Festival Internazionale di Musica giunto al ventottesimo anno, da poco conclusosi, ha condotto la sua abituale indagine senza confini e preclusioni sullo stato attuale della musica di ricerca. Nella parte centrale del suo cartellone si sono concatenate tre sere (al Teatro San Leonardo, sede del Centro di Ricerca Musicale, dal 16 al 18 maggio) dedicate a varie esperienze di improvvisazione radicale.
Grazie alla commissione di Angelica, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua fondazione l’etichetta Setola di Maiale, coordinata da Stefano Giust, ha avuto l’opportunità di selezionare un gruppo di validi rappresentanti italiani del catalogo, che per l’occasione sono stati affiancati da Evan Parker. Lo Unit, alla sua prima assoluta, presentava una formazione particolarmente intrigante: Marco Colonna ai clarinetti, Martin Mayes al corno e corno delle Alpi, Patrizia Oliva a voce ed elettronica, Alberto Novello all’elettronica analogica, Giorgio Pacorig al pianoforte, Michele Anelli al contrabbasso e Stefano Giust alla batteria.
Come è prassi abituale di questo tipo d’improvvisazione, il percorso, un flusso continuo senza soste, ha alternato addensamenti e diradamenti. I momenti di rarefazione e smembramento dell’organico hanno lasciato emergere congeniali sottogruppi e veri e propri spazi solistici: in diversi frangenti ha spiccato per esempio il notevole interplay fra il clarinettista e il cornista. A più riprese l’intero collettivo ha espresso un insieme sonoro denso, formicolante, di satura concretezza, pur lasciando distinguere gli apporti individuali.
Evan Parker non ha certo peccato di protagonismo, anzi c’è chi sostiene che non gli sia stato concesso lo spazio dovuto: in verità, come i colleghi, il sassofonista inglese ha inserito interventi mirati e sempre dialoganti con il contesto. Un po’ eccentrico invece si è stagliato uno spunto personale, lungo e del tutto solitario, di Mayes al vistoso corno delle Alpi, che ha funzionato quasi come uno spartiacque nel percorso complessivo della performance.
Il già collaudato trio svizzero formato da Harald Kimmig, Daniel Studer e Alfred Zimmerlin (rispettivamente violino, contrabbasso e violoncello) è stato integrato dal sassofonista inglese John Butcher. Anche in questo caso la formazione ha perseguito un susseguirsi di situazioni contrastanti, ma è risultata molto più veloce la sequenza fra fasi di decantazione e aree di improvvisa accensione, di notevole vigore, concluse però rapidamente per rientrare subito in una meditazione fragile e introspettiva, prefigurando una dimensione relativamente più cameristica. Un’apparente economia di mezzi e una reticenza gestuale, in realtà un’istantanea e vigile concentrazione, hanno comportato un rimuginare fra sé e sé, un selezionare gli attacchi e le intensità degli interventi fino a rasentare talvolta il sospiro e il silenzio.
Nella terza serata Angelica ha opportunamente voluto sondare l’attuale musica di ricerca in Malesia e a Singapore, presentando tre progetti diversi in prime apparizioni europee o italiane.
Il chitarrista di Singapore Dharma, attivo anche in ambito rock, nella sua solo performance tiene lo strumento adagiato orizzontale sulle ginocchia, percuotendolo con martelletti o sfregandolo con un archetto. A Bologna ne sono risultati colpi, rumori metallici e stridori “siderurgici”, sortendo dapprima effetti prevedibili e occasionali. Via via, anche grazie al controllo dell’elettronica, le azioni si sono complicate e stratificate, ottenendo scabri impasti armonici e concrezioni telluriche dalla vaga suggestione cosmica.
Il duo His Hubris è riuscito invece a realizzare un’ottima integrazione fra le sonorità acustiche, crepitanti o soffiate, ottenute da Yong Yandsen al sax tenore e le modulazioni frastagliate, minute e mobili, che l’atteggiamento compostissimo di Sundarshan Chandra Kumar ha tratto dalla consolle elettronica.
Il trio SA(E), fondato nel 2010, affianca un’odierna batteria, a cui oggi siede il percussionista Radha Govinda Dasa Tan Guo Jun, a strumenti della tradizione cinese: il cordofono guzheng suonato da Natalie Alexandra Tse e i vari flauti traversi imboccati da Andy Chia. Fra le prevalenti sonorità acustiche vengono inoltre inserite con moderazione elaborazioni elettroniche. Nonostante l’uso degli strumenti a tratti esasperato, nella musica del trio è prevalso un indubbio intento compositivo che ha avviato avvincenti sviluppi dinamici e timbrici e, soprattutto per via delle linee melodiche dei flauti, ha realizzato un senso narrativo evidente. Una proposta molto suggestiva perché in questo caso l’affiatato interplay e le procedure dell’improvvisazione non hanno occultato un profondo legame con certa tradizione etnica orientale.
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