Angela Hewitt con Bach, Mozart e francesi nel giorno della musica antica
La madrina di Bach ha riservato sorprese per i 90 anni della Società dei Concerti di Trieste
La pianista canadese Angela Hewitt è ritornata a Trieste per festeggiare i novant’anni della storica Società dei Concerti, attesa al Teatro Verdi all’immancabile gran coda Fazioli di cui lei è testimonial, nella giornata internazionale della musica, equinozio di primavera, giorno di nascita di Johann Sebastian Bach.
Ospite regolare da qualche anno dell’ente giuliano, con un attento pubblico di appassionati al seguito, tra cui molti giovani, «la più importante interprete di Bach dei nostri tempi», così l’ha definita “The Guardian”, si è prodigata molto applaudita in un programma non esclusivamente a lui dedicato, pur il giorno anniversario.
Certo non è mancato e non poteva mancare, per cui ha eseguito con la chiarezza ed il rigore che la fanno ineguagliata, una selezione di preludi e fughe dal secondo libro del Clavicembalo ben temperato, scegliendo le coppie di tonalità, maggiori e minori, fa diesis e sol, con magistrali esegesi nei numeri d’opus BWV dall’882 all’885 del caposaldo della didattica contrappuntistica alla tastiera.
Cavalli di battaglia si direbbe, conoscendo i diversi integrali che Hewitt dedica in disco e nelle tournées al genio tedesco, e non sono mancate le evidenze del suo tocco brillante, la pulizia dell’immacolato fraseggio, l’eleganza mai ostentata negli sviluppi delle trame contrappuntistiche, la cura raffinata nel bilanciamento delle condotte. Mai meccanica e sempre ispirata, equilibrata ad arte e con sentimento, ha messo un’altra volta in voce la sua firma nel nome del genio, come bene ci ha abituati.
È piuttosto nel nome di un altro genio, quello di Salisburgo di cui ora sta registrando l’integrale delle Sonate, che Angela Hewitt ha sorpreso, proponendo al pubblico triestino in apertura di concerto e dopo Bach, due delle sue “parigine”: la Sonata n. 12 in fa maggiore K 332 e la n. 13 in si bemolle maggiore K 333. Una sorpresa in questo Mozart.
Coerente, personale, divertita e giocosa sempre, è stata brillante anche nelle asperità, come nelle modulazioni drammatiche dell’Allegro della prima delle Sonate in programma. Tanto bene le ha evidenziate da aggiungerne un valor proprio, senza mai mancare di fedeltà e precisione, alternando, come nel secondo tempo cantabile, la sua morbidezza espressiva, il canto leggero del Mozart sonatistico del periodo. Tanto nella prima, più costruita e impegnativa anche nelle durate, quanto nella seconda, dai toni più distesi ma abbondante d’idee e sviluppi che l’interprete canadese non ha mancato di offrire in tutta spontaneità.
Dopo le incursioni mozartiane nei suoi soggiorni alla Ville Lumière, la seconda parte di concerto, forse un gioco di rimandi, è stata tutta alla francese. E qui ha sfoggiato, oltre al virtuosismo mai eccentrico e la limpida agilità che la contraddistinguono, prima nei tre quadri di graziosità della Sonatina di Maurice Ravel, e poi nella Bourrée fantasque di Alexis Emmanuel Chabrier, una tavolozza di colori vivaci e cangianti.
Ineccepibile anche nei tempi di danza, dal minuetto raveliano alle danze tradizionali dell’Alvernia, rese fantasmagoriche da Chabrier, e nei toni percussivi di sapore moderno dove, anche qui, Hewitt è stata Hewitt, da illuminare il pubblico in applausi di entusiasmo e ammirazione. Infine il bis, richiamata più volte sul palco. Ancora dalla Francia, il Claire de Lune dalla Suite bergamasque di Claude Debussy.
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