Alla riscoperta del giovane Bizet

A Venezia si inaugura il festival “Bizet, l’amore ribelle” organizzato dal Palazzetto Bru Zane 

Reinoud Van Mechelen e Anthony Romaniuk (Foto Matteo De Fina)
Reinoud Van Mechelen e Anthony Romaniuk (Foto Matteo De Fina)
Recensione
classica
Venezia, Palazzetto Bru Zane
Bizet, l’amore ribelle
29 Marzo 2025 - 02 Aprile 2025

Domanda: quanto conosciamo di Bizet? Risposta: molto poco. Paradosso di un compositore, la cui fama tardiva si deve esclusivamente a Carmen, rappresentata solo tre mesi prima della sua morte a 36 anni e oggi una delle opere più rappresentate al mondo. Che la morte precoce sia stata colpa dell’insuccesso di Carmen fa parte della leggenda e la trentina di repliche nei tre mesi dopo la prima all’Opéra Comique raccontano forse un’altra storia (e più prosaicamente fu quasi certamente una febbre reumatica a provocare la morte improvvisa di Bizet, di salute molto precaria, in seguito a un bagno nelle acque forse troppo fredde della Senna a Bougival). Soprattutto del primo Bizet si conosce e si esegue pochissimo in teatri e sale da concerto. Ovviamente con la solita eccezione del Palazzetto Bru Zane che soprattutto alla produzione musicale del giovane compositore nel centocinquantenario della morte ha dedicato il suo festival di primavera “Bizet, l’amore ribelle”, preceduto dall’uscita solo qualche giorno prima di una raffinata edizione nella collana “Portraits” della Bru Zane Label con quattro CD che colmano non solo una discografia molto scarsa e lacunosa ma soprattutto una scarsissima conoscenza degli esordi del talentuoso Bizet anche in generi musicali diversi e spesso insoliti. 

Della produzione musicale meno nota, e documentata nei CD della pubblicazione, ci sono le composizioni per pianoforte, con le quali si apre la rassegna primaverile. Talento precoce, già a nove anni era in grado di riprodurre sulla tastiera accordi molto complessi, abilità che gli valse l’ammissione al Conservatorio nella classe di Antoine Marmontel, già allievo di Chopin, e più tardi il plauso di Franz Liszt e l’esortazione a intraprendere la carriera di concertista, cosa che Bizet non fece non volendo diventare un “jongleur” della tastiera. Si dedicò invece all’attività di arrangiatore, in particolare per l’editore Choudens e lavorando su diverse opere del più anziano Charles Gounod. Proprio con le trascrizioni bizetiane di due cori da opere di Gounod – il coro delle Magnanarelles, le raccoglitrici delle foglie dei gelsi, che apre la poco nota Mireille e il più celebre coro dei soldati dal Faust – si apre il recital del pianista Nathanaël Gouin nella piccola sala del Palazzetto Bru Zane intitolato “Il giovane Bizet”. Oltre alle trascrizioni, il pianista presenta anche delle composizioni originali come il Nocturne in re maggiore o le delicate miniature di Chanson d’avril e Extase dalle mendelssohniane Romances sans paroles, quando non rielaborate da proprie opere come La Chasse fantastique da motivi di Ivan IV o Venise, vera e propria parafrasi sulla romanza di Nadir da Les pêcheurs des perles. Ispirandosi agli opulenti modi di Thalberg, lo stesso Gouin propone una propria Parafrasi sul Coro dei “petits soldats” dalla Carmen, confermando un talento di interprete più incline al grande gesto virtuosistico che all’introverso intimismo. Talento che esplode nel pezzo forte della serata, ossia la trascrizione di Bizet per pianoforte solo del Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Camille Saint-Saëns, composizione che “comincia con Bach e finisce con Offenbach” secondo un impietoso critico in vena di battute. Vero è che dall’austera solennità del primo movimento Gouin offre una prova in crescendo che culmina con la trascinante tarantella del movimento finale, festeggiatissima dal pubblico, che strappa al pianista l’etereo Les rêves dai Chants du Rhin come bis. 

Per il secondo appuntamento del tradizionale weekend di apertura, ci si sposta nella vicina Scuola Grande San Giovanni Evangelista per il Bizet gustoso operista ancora in erba de Le docteur Miracle. Non aveva ancora vent’anni quando decide di partecipare al concorso indetto da Jacques Offenbach per una nuova opera buffa da eseguire sotto la sua direzione nella sua nuova sala, Les Bouffes Parisiens. Bizet non vinse, o meglio, divise il premio con il collega Charles Lecocq, il cui Docteur Miracle è stato già oggetto di un recupero del Palazzetto Bru Zane nel ciclo dei “Bouffes du Bru Zane” nel parigino Théatre Marigny. Non potendo contare su un teatro, l’operina di Bizet, già oggetto di una lunga tournée in diversi teatri francesi, arriva a Venezia in una versione priva di scene e costumi e con l’accompagnamento al pianoforte curato dello stesso Bizet. La trama è esile e ricorda vagamente quella del rossinano Barbiere di Siviglia: Laurette, la figlia del podestà di Padova, smania per il capitano Silvio. Il padre però non ne vuol sapere e Silvio si introduce con l’inganno nella casa del podestà sotto le mentite spoglie del servitore Pasquin. Prima di essere scoperto, il maldestro Silvio serve una disgustosa omelette al podestà, al quale fa credere essere avvelenata. Estorta la firma sul testamento, la moglie Véronique chiama al capezzale del consorte l’unica persona in grado di strapparlo alla morte, il dottor Miracle, nient’altri che lo stesso Silvio in un altro travestimento. Podestà salvo, scoperto l’inganno ma l’amore trionfa. Grande divertimento grazie a un brioso quartetto di interpreti – Dima Bawab (Laurette), Marie Kalinine (Véronique), Marc Mauillon (Silvio) e Thomas Dolié (il podestà) – accompagnati negli otto numeri musicali dal pianista Thomas Tacquet. Tagliati i dialoghi originali in francese, i brevi interventi in italiano dell’attore Vincenzo Tosetto non interrompono comunque lo scorrere dell’azione che culmina nel surreale quartetto “Voici l'omelette” di marcato sapore rossiniano. 

Ancora il canto è al centro del terzo concerto che chiude la prima settimana di festival. “Amore e sogni” è il titolo del recital del tenore Reinoud Van Mechelen accompagnato al pianoforte da Anthony Romaniuk nell’elegante impaginato che si apre con Le matin e si chiude con La nuit, entrambe composte da Bizet. Un percorso lungo un giorno nel quale si parla molto d’amore declinato in umori diversi in alcune delle sue mélodie, altro genere tanto assiduamente frequentato da Bizet quanto poco noto oggi, ma anche dei colleghi Franz Liszt, Eduard Larsen e Pauline Viardot su testi di grandi firme della letteratura come Victor Hugo e Pierre de Ronsard. Testimonianza di un genere molto florido nei salotti di entrambe le sponde del Reno, queste piccole gemme vengono esposte con eleganza e gusto dal luminoso timbro lirico di van Mechelen sostenuta dal solido pianismo di Romaniuk, che si prende la scena per due parentesi solistiche: la tenebrosa La Lugubre Gondole di Liszt, un omaggio alla città che accoglie il concerto più che al tono della serata come invece la più lieve Mazurka op. 50/2 di Fryderyk Chopin attraversata appena da una vena malinconica. Anche per questo concerto, molto calore da parte del pubblico che viene ricambiato con un frammento dalla Carmen (finalmente!) con “La fleur que tu m'avais jetée” per niente muscolare e anzi eseguita con l’eleganza di un tenore di grazia di altri tempi. 

Il festival continua con molte altre scoperte fino a maggio inoltrato. 

 

 

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