Due volti di Hoffmann
L’opera di Jacques Offenbach torna in due nuovi allestimenti a Düsseldorf e a Saarbrücken

Spettacolo recensito
Jacques Offenbach (1819–1880)
Les contes d’Hoffmann
(I racconti di Hoffmann)
Opéra-fantastique in un prologo, tre atti e un epilogo
libretto di Jules Barbier dal dramma omonimo di Jules Barbier e di Michel Carré tratta dai racconti di E.T.A. Hoffmann
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 10 febbraio 1881
Si direbbe che l’opera francese goda di buona salute in Germania a giudicare dal numero crescente di allestimenti di lavori noti e meno noti nei teatri lirici. Fra le produzioni più recenti, spiccano i due allestimenti de Les contes d’Hoffmann di Offenbach presentati alla Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf e al Saarlandisches Staatstheater di Saarbrücken, entrambi costruiti con formule piuttosto originali a partire dall’ormai consolidata versione curata da Michael Kaye e Jean-Christophe Keck, che lascia ragionevoli margini di manovra agli interpreti.
A Düsseldorf sono ben quattro i registi coinvolti, tre per ognuna delle donne dei racconti del protagonista dell’opera di Offenbach e uno per prologo ed epilogo. Se la firma per scene e costumi è unica – Stefan Rieckhoff per le prime e la coppia Silke Fischer e Irina Shaposhnikova per i secondi – ogni episodio è trattato con una cifra stilistica molto differenziata. Dopo il prologo curato da Tobias Ribitzkicon il protagonista in proscenio seduto a un semplice tavolo illuminato da una candela e affiancato dalla fedele Musa, che all’occorrenza veste i panni di Nicklausse. Il coro è invisibile per evidenti motivi di funzionalità ma anche per insistere sul carattere introspettivo dell’intera opera, i cui diversi episodi possono essere immaginati come frutto del tormento creativo dell’autore. Il primo episodio “Olympia”, il più fantasioso, porta la firma del gruppo teatrale 1927 (fondato dall’illustratore e animatore Paul Barritt e dalla autrice e performer Suzanne Andrade), già artefice di un fortunatissimo Flauto magico in cartellone da un decennio alla Komische Oper di Berlino e anche a Düsselfdorf (e transitato anche all’Opera di Roma qualche anno fa). Il legame con il cinema è dichiarato fin dal nome del gruppo (1927 è l’anno del primo film sonoro) e lo stile è lo stesso: una suggestiva e divertente combinazione di immagini animate e personaggi reali, cioè la bambola Olympia che di reale ha solo la testa e strapazza l’innamoratissimo poeta Hoffmann come in una vecchia comica degli esordi del cinema. Non manca la poesia ma soprattutto l’umorismo di marca surreale nell’interazione fra Hoffmann e la bambola meccanica creata da Spallanzani, come non manca anche nel secondo episodio, curato da Neville John Tranter, professione burattinaio, che accosta alla sfortunata Antonia grotteschi burattini a grandezza naturale per tutti gli altri personaggi, fatti muovere da animatori accanto ai cantanti. Per l’episodio di Giulietta, invece, Nanine Linning sceglie la chiave della danza come allusione all’elemento liquido che irrora l’atto veneziano. Prova a far danzare il coro vestito di azzurro sul palcoscenico rotante, ma il risultato è piuttosto modesto e soprattutto pochissimo chiara è l’esposizione della trama già piuttosto intricata.
Ad assicurare una esecuzione musicale di livello ci pensa il direttore Antonino Fogliani che guida con eleganza i Düsseldorfer Symphoniker ma fatica non poco a tenere insieme soprattutto il Coro della Deutsche Oper am Rhein, spesso impreciso specialmente nell’atto di Giulietta e finalmente compatto nel finale. Discreta la compagine vocale, con qualche punta di eccellenza, più che nel protagonista Ovidiu Purcel, preciso nel canto ma non aiutato da una timbrica piuttosto esile, nella Musa e Nicklausse di Kimberley Boettger-Soller, nell’appassionata Antonia di Darija Auguštan, nell’Olympia di Elena Sancho Pereg, che ha tutte le note a posto ma non ha modo di mostrare molto altro, complice la regia che la rende un cartoon, e nello Andrès, Cochenille, Pitichinaccio e Franz che è uno spiritoso Andrés Sulbarán. Dal canto loro, Joshua Bloom non si distingue per particolare eleganza nei ruoli dei cattivi Lindorf, Coppélius, Dapertutto e Dr. Miracle, e Sarah Ferede come Giulietta è soprattutto professionalmente affidabile.
Pubblico non foltissimo ma piuttosto caloroso.
A Saarbrücken la mano registica è unica, quella di Krystian Lada, talento emergente della scena lirica europea e già consacrato dal viatico del primo Premio Mortier . Forte di un tipico armamentario da “Regietheater” (tendenza post-drammatica), nella scena di Marian Nketiah con pochi essenziali elementi sul palcoscenico rotante e costumi di Bente Rolandsdotter dal banale al grottesco, Lada vede l’opera di Offenbach come un corpo unico che racconta di un percorso esistenziale, quello del poeta Hoffmann attaccato alla bottiglia non meno di una opulente Musa beffarda e oscenamente nuda, come la verità, che lo accompagna con l’inquietante Ego (come da locandina), incarnazione del male. Bullizzato nelle docce dai compagni di palestra, Hoffmann attraversa tre tappe di vita e tre fallimenti con la stessa donna, che assume tre identità diverse, prima di precipitare nella disperazione alcolica. L’uso massiccio di video realizzati dello stesso Lada fornisce un tessuto connettivo alle tre vicende comunque disconnesse ma presentate come un unico percorso nel quale le forzature non sono poche e la realizzazione piuttosto approssimativa (come spesso accade quando il concetto è tutto).
Se in questo allestimento, coprodotto con Göteborg, le tre donne sono coerentemente interpretate dalla stessa interprete – Liudmila Lokaichuk, ottima in Olympia e Antonia, molto meno in Giulietta – gli Hoffmann invece sono tre, ma solo il giovane di Jon Jurgens in “Olympia” e quello anziano di Algirdas Drevinskas in “Giulietta” sono davvero all’altezza, mentre quello maturo di Peter Sonn, in mutande, vestaglia da camera e bottiglia stretta in mano, nel prologo e in “Antonia” mostra più di un limite e non solo vocale. Il resto della locandina è assemblato creativamente con un occhio all’economia degli interpreti. Nel consueto accorpamento dei ruoli dei cattivi (Lindorf, Coppelius, Docteur Miracle e Dapertutto) Peter Schöne se la cava soprattutto con una fisicità inquietante, mentre Clara-Sophie Bertram come Musa, Niklausse e madre di Antonia esibisce buone doti di interprete da sotto il pesante costume “nude look”. Fra gli altri, il versatile Merlin Wagner è un divertente Andrès, Cochenille, Frantz e Pitichinaccio, quando non si presta a fare il ciacchista negli inserti video. Riuscita la prova del Coro del Saarländischen Staatstheaters, preparato da Mauro Barbierato, come quella della Saarländisches Staatsorchester diretta con brio e gusto tutto francese da Sébastien Rouland.
A Düsseldorf il pubblico non manca, mentre a Saarbücken latita. Nei due teatri comunque gli spettatori presenti si spendono in applausi molto generosi per tutti gli interpreti.
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