Il virtuosismo di Polifemo
Versailles, grande successo per Polifemo di Porpora con Franco Fagioli
Una nuova produzione del Polifemo di Nicola Porpora ha visto la luce a Versailles con grande successo, ed è la prima volta che l’opera è stata messa in scena in Ile de France. Creata a Londra, al King's Theatre nel 1735 per due star dell’epoca, i castrati Farinelli e Senesino, dopo il grande successo iniziale, non era stata più rappresentata ma dopo il film Farinelli del 1994 che contiene la magnifica aria Alto Giove tratta, appunto, dal Polifemo l’interesse si è risvegliato e da allora si stanno moltiplicando le nuove produzioni. All’Opéra Royal de Versailles, dove è stata anche registrata per futura pubblicazione, si è ricorso, nel ruolo che fu di Farinelli, ad una star di oggi, il controtenore argentino Franco Fagioli. Ma tutto il cast è di ottimo livello con, nel ruolo che fu di Senesino, quello di Ulisse, il giovane controtenore francese Paul-Antoine Bénos-Djian sempre più apprezzato a livello internazionale. La primadonna, nel ruolo di Galatea che fu per primo della allora pure famosissima Francesca Cuzzoni, è il soprano russo Julia Lezhneva, che ha già cantato l’arduo ruolo e lo padroneggia. L’altra protagonista femminile è il mezzosoprano francese Éléonore Pancrazi che interpreta Calypso, anche travestita da Nerea, la pescatrice, che con classe e sicurezza scambia pure una scherzosa battuta in inglese con il direttore d’orchestra aggiungendo un tocco di, finta ma naturalissima, improvvisazione che coinvolge e diverte molto la sala. Completa il cast il bravo basso boliviano José Coca Loza nel ruolo del cattivo Polifemo. Il libretto di Paolo Rolli mescola le storie dell’amore tra il pastore Aci e la ninfa Galatea, della quale è innamorato però pure Polifemo che uccide per questo Aci, con l’accecamento del ciclope Polifemo da parte di Ulisse che a sua volte incontra, invaghendosene, la ninfa Calipso, con lieto fine per le due coppie di innamorati, con Aci che diventa addirittura un immortale. A Versailles, a dirige la Royal Opera Orchestra, c’era il giovane Stefan Plewniak che oltre ad essere un virtuoso del violino si dimostra sempre più anche un ottimo direttore.. La sua lettura della partitura è di grande precisione, brillante, moderna, di grande vitalità, piacevolissima, ma tanto veloce che qualche volta si nota una sfasatura con i cantanti che sono pure privati di qualche applauso perché la musica va avanti con ritmo incalzante. Per il Polifemo a Versailles è l’Orchestra che primeggia sui cantanti. Le scene di Roland Fontaine sono volutamente finto antico, con colonne e finti scogli, sullo sfondo l’Etna con le sue colate di lava e nuvole e fumi del vulcano che scorrono e cambiano come nella realtà. Solo al momento dell’accecamento viene modernamente proiettata un pupilla gigante sullo sfondo risolvendo in tal modo la rappresentazione della prodezza di Ulisse. Il regista è l’australiano Justin Way, al lavoro da anni in diversi teatri europei, che guida gli interpreti con mano sicura ma discreta mettendoli in valore, non ci sono stranezze, ma semplicità ed efficacia. Bellissimi i costumi in stile settecentesco disegnati da Christian Lacroix, coloratissimi e dalla magnifica fattura, riuscitissimi in particolare quelli dei ballerini, elegantissimi con le loro grandi piume azzurre e, sopratutto, divertentissimi, come compagni di Ulisse con finte gonnelline con codine tipo pecorelle, per ingannare Polifemo. Un plauso alle coreografie di Pierre-François Dollé, deliziose, di gusto settecentesco e basate su piccoli passetti aggraziati, e bravo ai ballerini dell’Académie de danse baroque de l’Opéra Royal. . Qualche dubbio invece sul costume e la maschera di Polifemo realizzati da Rachel e Quarmby e Jean-Christofe Spadaccini che, per ingigantire la figura, fa cantare il basso da uno squarcio sul petto sotto la grande testa, con il famoso occhio centrale, fissa d’espressione, ed oltretutto con una pelliccetta piuttosto spelacchiata. Porpora fu chiamato a Londra per rivaleggiare con Händel e l’opera Polifemo è infarcita di pezzi di bravura che richiedono una grande virtuosità a tutti i cantanti. La prima a fare scintille è Galatea, la parte che ha più arie, ben sette, contro le sei di Aci e le cinque di Ulisse, il soprano Lezhneva dimostra talento e tecnica, sicurezza nei vocalizzi, anche se non sempre i suoi fiati sono molto lunghi e si vorrebbe anche una più chiara pronuncia italiana e un po’ più di carisma in scena, ma molto toccante è la sua interpretazione quando perde Aci. Quest’ultimo, cantato da Fagioli, prende sempre più la scena man mano che si trasforma da umile pastorello dai dolci accenti in immortale, quando il controtenore potrà sfoggiare i suoi magnifici acuti, ma molto toccanti pure i suoi pianissimo, e più che lo sfoggio del suo virtuosismo che pure farà alla fine esaltando la sala, colpisce la maturità e sensibilità della sua misurata e raffinata interpretazione.
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