I Concerti del Bellini di Catania
Al Teatro Massimo Bellini, con Mahler e Berio
La stagione sinfonica del Teatro Massimo Bellini è partita con proposte impegnative o inconsuete, facendosi segnalare rispetto al più tradizionale cartellone lirico (che principierà in gennaio) anche per una certa qual presenza del Novecento. Pur non essendo alla loro prima esecuzione del brano, l’Orchestra Sinfonica e il Coro si sono confrontati con un monumento del sinfonismo tardo-romantico quale la Terza Sinfonia di Gustav Mahler (1896, ma première 1902), test probante sia per l’ampiezza epico-narrativa della costruzione musicale, sia per la compattezza e le caratterizzazioni dell’assieme, sia per quanto vi si richiede solisticamente alle prime parti e in generale alle sezioni. L’averlo affrontato sotto la guida di un direttore – Vitali Alekseenok, già di recente apprezzato con l’Orchestra in un solido Sacre du Printemps – giovane ma sicuro, asciutto nell’interpretazione, ha garantito un risultato complessivamente solido, chiaro nelle grandi arcate formali, fascinoso e di grand’effetto soprattutto nell’articolato finale, dove i colori chiamati nel pannello nietzschano (positiva la prova del mezzosoprano Polina Shamaeva) hanno preparato al meglio l’episodio corale seguente e le magnifiche ondate di espansione del tema nel commovente pannello finale, ben disegnate – senza alcun sentimentalismo – nella lettura direttoriale. Nondimeno, che l’asticella fosse più alta della media per le compagini del Teatro, lo si è avvertito qua e là – in particolare verso la conclusione – in dettagli di precisione e intonazione, ma questo non ha pregiudicato complessivamente l’esecuzione, che è stata molto applaudita dalla sala gremita. Una piacevolissima sorpresa infine l’inappuntabile Coro di Voci Bianche InCanto diretto da Alessandra Lussi, una realtà della cittadina di Scordia dove movimentare e preparare un nutrito gruppo di giovani cantori è in teoria meno semplice che nel capoluogo.
Più articolato il concerto successivo, concertato – in un caso personalmente al cembalo – da Alessandro De Marchi: prima parte barocca, con la Terza Suite per orchestra di J. S. Bach e una Sinfonia di Concerto di Alessandro Scarlatti (ottimo il flauto solista Alessandro Vella, prima parte dll’Orchestra qui operante su un traverso in legna con proprietà stilistica), e la questione è ancora una volta indirizzare un’orchestra di vocazione ottocentesca a una differente cultura del suono; De Marchi c’è riuscito in modo soddisfacente, non solo grazie a un suono dal vibrato assente o controllato e localizzato, ma pure con un fraseggio ben plasmati, con interessanti soluzioni agogiche (in Bach la Gavotta II molto più veloce della I, a suggerire una progressione in avanti forse meglio dosabile), e con la consueta maestria di Scarlatti padre nel dosare le textures, forse meglio apprezzabile in uno spazio meno vasto della grande sala teatrale. È lo stesso rimpianto che si può fare per alcuni passi dei Folksongs di Berio (nitida ma sempre espressiva la bella voce di Albane Carrère), rimasti cameristici anche nella versione per orchestra, sicché efficace per il luogo ha risuonato la prima Suite dalle antiche arie e danze per liuto di Respighi.
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