Doppio Barenboim a Milano
Con la Filarmonica della Scala
Daniel Barenboim è tornato alla Scala anticipando il concerto della Filarmonica con una prova aperta nella Sala Verdi del Conservatorio il 27 gennaio per il Giorno della Memoria (i proventi della serata devoluti all'associazione Figli della Shoah). Provato nel fisico dai suoi acciacchi, ma sorridente, il direttore ha subito creato un'atmosfera colloquiale incitando i ritardatari a sedersi perché non intendeva parlare con la gente in piedi. La sistemazione è stata laboriosa e molesta, tanto che quando è stato invitato ad avvicinare il microfono alla bocca, ha soffiato dentro una sorta di pernacchia e ribattuto di non aver aspettato i comodi altrui per essere sgridato. Le sue non sono state poi parole di circostanza nel ricordare la Shoah come uno dei momenti più orribili della storia, perché ha aggiunto che non è finita dopo l'orribile attacco del 7 ottobre a Israele e l'orribile reazione di Israele contro il popolo palestinese.
Dopo di che ha dato l'attacco alla Sesta di Beethoven ottenendo dagli archi una sorta di serena immobilità, difficilmente eguagliabile; dopo il Primo tempo ha parlato a lungo con gli orchestrali, così come ha fatto ripetere le prime misure del Secondo tempo. Molte le correzioni anche nella successiva Settima, insomma si è trattato di una prova vera e propria, con la prima viola che s'era dimenticata gli occhiali ed è andata a recuperarli in camerino, mentre l'organico continuava a suonare. Ed è proprio il suono della Filamonica ad avere impressionato chi è abituato ad ascoltarla penalizzata dall'acustica secca della Scala, perché al Conservatorio ogni sezione ha contorni definiti, i pianissimo arrivano quasi inpercepibili e i pieni d'orchestra avvolgenti.
Due giorni dopo, il 29 gennaio, il concerto con la sala del Piermarini piena zeppa e Barenboim accolto da interminabii applausi e grida di "ben tornato"; ma questa volta l'attesa gli è stata sicuramente gradita. L'esecuzione della Pastorale è stata memorabile per il controllo assoluto dei volumi sonori, l'incisività degli interventi dei fiati e il disteso respiro di tutto l'organico in stato di grazia. La lunga introduzione del primo tempo della Settima lo ha confermato, come pure il successivo trascinante Vivace, mai enfatizzato dal gesto del direttore, sempre ridotto ai minimi termini.
Molti i passaggi in cui Barenboim teneva entrambe le braccia totalmente immobili, ma rivolgendo qua e là lo sguardo, a riprova che la sua straordinaria intesa coi musicisti della Filarmonica è rimasta intatta, dai tempi in cui era Direttore Scaligero. Forse addirittura migliorata dalla tensione inevitabile dovuta al suo ritorno sul podio milanese; un esempio per tutti il ritmo di marcia dell'Allegretto mai enfatizzato, quasi evanescente, eppure drammatico. Quasi senza soluzione di continuità, gli altri due movimenti hanno confermato l'impressione di questo raro affiatamento, anche nei fortissimo e nelle gioiose esplosioni dei corni.
A fine serata applausi insistiti, con gli orchestrali che si rifiutavano di alzarsi per lasciarli al loro direttore, seguiti da una standing ovation. E di certo la speranza di rivederlo presto sul podio della Scala.
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