La Clemenza di Tito un po’ folle firmata Milo Rau
Ad Anversa Mozart diretto da Alejo Pérez
Dopo essersi fatto apprezzare come regista di teatro e documentarista, lo svizzero Milo Rau si è cimentato con l’opera proprio quando è scoppiata la pandemia per cui la sua Clemenza di Tito si è potuta vedere solo in streaming per il Grand Théâtre de Genève. Quella di Anversa è dunque stata la prima rappresentazione in teatro con il pubblico e nell’allestimento completo con cui l’opera di Mozart era stata immaginata, con il coro in scena e non distribuito nei palchi. Un lavoro, La Clemenza, giudicato da sempre un po’ tedioso che con Rau si veste invece di un po’ di follia, scenicamente funziona e diverte. Si entra in sala e già il palcoscenico è affollato di personaggi che sembrano un mix di rifugiati, senzatetto, guardie del corpo ed artisti alternativi. Ma c’era stata l’eruzione del Vesuvio e Tito vuole alleviare le sofferenze delle vittime offrendo carità e bellezza, così recita il libretto, e quindi il contesto inaspettato ha invece un suo senso. E’ una denuncia, ha spiegato il regista, delle élite che usano l'arte per sottrarsi alle proprie responsabilità nella società. L’opera di Mozart è quindi attualizzata immaginandola nell’ambiente “hipster” di una galleria d’arte, con periodiche citazioni di appropriati dipinti antichi. Tito sfoggia una piccola cresta di capelli, è vestito con gonna lunga a portafoglio, indossa mocassini foderati di pelliccia, e passa il tempo a dipingere. Gran parte del successo dello spettacolo va attribuito al suo bravo interprete, il tenore britannico Jeremy Ovenden, che rende credibile il personaggio e si conferma un’ottima voce mozartiana. Si comincia con la fine, con l’atto di clemenza, e poi tutto si svolge accompagnato da un’ottima esecuzione dell’Opera Ballet Vlaanderen Symphony Orchestra, diretta dal direttore musicale Alejo Pérez che regala una versione della partitura particolarmente brillante e piena di colori, contribuendo in maniera determinante alla standing ovation finale. Splendida anche il mezzosoprano russo Anna Goryachova nel ruolo di Sesto, sembra davvero un maschietto e conquista con il suo canto tormentato ma deciso. Gli interpreti chiamano loro stessi il cameraman per farsi fare i primi piano da proiettare, c’è un po’ di sovraccarico di immagini e spunti interpretativi aggiunti, come la scena iniziale d’estrazione del cuore di silicone che passerà poi di mano in mano, oppure le crude le scene dei congiuranti impiccati. La senza scrupoli Vitellia è il soprano polacco Anna Malesza-Kutny, invece Annio è il mezzo olandese Maria Warenberg che ha cantato nettamente meglio nel secondo tempo, mentre la dolce Servilia il giovane soprano sudcoreano Sarah Yang, quest’ultima vestita quasi come il personaggio contemporaneo di un fumetto orientale. Tutti giovani e bravi, solo ancora la dizione italiana un po’ da perfezionare. Ed a proposito di lingue, anche stavolta sono state aggiunte frasi in fiammingo che hanno un po’ appesantito lo svolgimento dello spettacolo. Altro neo l’avere scelto di proiettare brevi racconti delle vite dei figuranti, molti rifugiati, mentre gli interpreti cantano alcune loro arie: è importante sapere la storia, spesso assai travagliata, che c’è dietro alle persone che si esibiscono in scena ma il momento scelto ha distratto e penalizzato la fruizione di Mozart. Delude un po’ ma funziona citare l’incendio del Campidoglio solo con un grosso fuoco da campo. Scelta creativa felice invece quella di fare morire veramente Tito, ma poi riportarlo in vita dopo alcune pratiche magiche, ancestrali, con Tito che torna tutto imbrattato da una specie di fango, che ben si inseriscono nelle scene multirazziali e multiculturali proposte dal regista, coadiuvato dallo scenografo Anton Lukas, e la cui ricchezza e diversità è sottolineata anche dalla costumista Ottavia Castellotti. Questo sarà nel 2024 lo spettacolo d’inaugurazione della Wiener Festwochen con anche venti cittadini di Vienna parte della produzione.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.