Il Concerto per violino di Marsalis in prima esecuzione italiana a Torino
Successo per l’OSN, Gibboni e Axelrod per la chiusura di Rai Pops
La prima esecuzione dell’unico Concerto in per violino e orchestra in Re (2015) di Wynton Marsalis affidato al violino di Giuseppe Gibboni e alla bacchetta di John Axelrod ha concluso in grande il ciclo di concerti Rai POPS, inventato nel 2022 dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai per esplorare i confini tra musica sinfonica, jazz, crossover e swing. Il Concerto, di forma inedita, consta di quattro movimenti: Rhapsody, Rondò burlesque, Blues, Hootenanny. Il viaggio che solista, direttore e orchestra propongono riflette alla perfezione il profilo di Marsalis: musicista dalla formazione tradizionale, si è prestato poi al jazz, rivelando un talento raro con la tromba e, infine, alla composizione. Il primo movimento, dall’andamento rapsodico, attacca con una ninna nanna: lo stupefacente suono di Gibboni arriva in sala preciso, flessuoso, seducente, ma - come in una fantasmagoria, nonostante la ricapitolazione faccia occhiolino alla forma tradizionale - il lirismo di questa pagina si cangia anche nel chiasso di New Orleans (con l’orchestra che batte i piedi), costringendo solista, direttore e orchestra a scarti improvvisi e musicalmente ardui, tra tecniche estese, generi, cambiamenti di registro, dominati da tutti con sapienza. Giustapposto a contrasto alla predominante dolcezza e flessuosità di Rhapsody, il Rondò, dalle qualità percussive estreme, s’ispira alle danze “gumbo” (dai gumboots, gli stivali di gomma indossati dagli schiavi delle miniere sudafricane): citazioni stravinskiane, poliritmia e una declinazione nuova della violenza selvaggia cui ci aveva già abituati il primo Novecento. Omaggio alle atmosfere di Gershwin, Marsalis intreccia, quindi, nel Blues un dialogo intimo tra orchestra e solista, magistralmente condotto da Axelrod. Hootenanny(termine che indica feste musicali spontanee, “open mic”) suona come un’infuocata, brillantissima danza celtica in salsa americana. Di nuovo, momenti percussivi di mani e piedi - la sezione delle percussioni qui dà il meglio di sé - per un confronto serrato e diretto, quasi una sfida, implacabile e in crescendo, tra solista e orchestra. Chiude il Concerto l’incantatorio violino di Gibboni che s’allontana dall’orchestra per un estatico dialogo a due col tamburo, sparendo nel silenzio, come a volte accade nei sogni.
Declinazione del jazz sinfonico (1974) i Three Black Kings di Duke Ellington - nella versione per grande orchestra di Maurice Peresse, poiché alla sua morte il brano fu lasciato incompiuto dall’autore -, in prima esecuzione Rai a Torino, offrono una fotografia del jazz delle big band, ritraendo musicalmente Balthazar, il re magio di colore; Salomone, il re biblico di pelle scura (così nel Libro di Samuele), e Martin Luther King, il leader per i diritti civili dei neri d’America assassinato il 4 aprile 1968. Un evergreen del repertorio jazz, An American in Paris, di Gershwin (1928), e una rarità offerta come bis, la sua Lullaby, completano il quadro.
L’Orchestra Rai sembra essersi trasformata a pieno titolo in un’orchestra jazz: questa pare una magia (ma s’intuisce, è il risultato di un duro, continuativo lavoro) che vorremmo riascoltare ancora, e più spesso; magari integrata nella stagione “canonica”, a dimostrazione del fatto che questo repertorio non è da pensarsi come “altro” o “diverso” dalla musica “classica”.
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