Cardillac tra espressionismo e costruttivismo
In scena a Vienna un convincente allestimento, firmato Bechtholf, del capolavoro di Hindemith
La Staatsoper di Vienna riporta subito sulla scena un nuovo e bell’allestimento – firmato da Sven-Eric Bechtholf – di Cardillac, lavoro-chiave (1926 nella prima versione, quella utilizzata a Vienna) di Paul Hindemith. I fulminei atti unici hindemithiani degli anni precedenti danno spazio qui a un impianto drammatico più articolato, senza perciò rinunciare al graffio espressionista, sia sul piano del soggetto (il libretto di Ferdinand Lion è tratto da uno dei racconti più visionari di Hoffmann), sia sul piano del linguaggio musicale, pieno di spigoli soprattutto armonici; l’ambientazione sei-settecentesca stimola peraltro un dialogo con soluzioni formali e condotte contrappuntistiche che Hindemith ha sempre coltivato, ma che in Cardillac è innervato di un’energia metamorfica trasfigurante. Le scenografie di Rolf Glittenberg rimandano assai chiaramente alla deformazione espressionista della ‘grande città’; così, il motivo narrativo della folla anonima ma tremenda o tremante, che domina la magnifica scena d’apertura nel primo atto, si rinsalda benissimo alla scelta figurativa. I costumi di Marianne Glittenberg sono una convoluzione di tratti barocchi, ottocentesco-borghesi (in particolare nei copricapo) e contemporanei, in un’efficace attualizzazione delle questioni sociologiche poste dal testo, rinforzate dalla gestualità richiesta da Bechtolf ad alcuni figuranti: gli aiutanti del Capo dei Prevosti, ad esempio, infilano transitoriamente nella loro gesticolazione meccanica – una prossemica da automa è imposta anche alla Figlia di Cardillac, imparentata così a un altro personaggio operistico hoffmaniano, Olympia – posture degli arti superiori da saluto nazista, alludendo così al controllo delle folle massificate, alla manipolazione di paure e nevrosi collettive di fronte a un supposto crimine. Certo, altri temi attuali sottesi al soggetto – l’isolamento e l’incomprensione sociale dell’artista, la problematicità del rapporto con la ‘sua’ opera – restano in sordina, parendo anzi la partitura di Hindemith quasi un loro esorcismo, nella sua sintesi di nitidezza e incisività.
La qualità dei cast di opere novecentesche, nel massimo teatro operistico viennese, non smentisce i consueti standard elevati, qualunque sia l’esecutore di turno: tutti assai bravi (Vera-Lotte Boecker, Wolfgang Bankl, Daniel Jenz, Stephanie Houtzeel, Evgeny Solodovnikov) anche nei movimenti attoriali, ma una nota di merito specifica va spesa per i due protagonisti maschili, Thomas Konieczny quale Cardillac, e Gerhard Siegel quale Ufficiale (e pretendente della di lui Figlia), scolpiti e quasi titanici, eppure oggettivati e perfino epicizzati, nella loro resa interpretativa. Cornelius Meister ha diretto non solo con solidità, ma pure con lodevole ricerca degli impasti timbrici e dei contrasti di densità e colore orchestrali (assai meno neoclassici di quanto si possa pensare), le Orchestre – anche quella dietro il palco – della Wiener Staatsoper; veramente strabiliante il Coro, che ha conferito ai suoi interventi, sin dalla straordinaria scena iniziale, un notevolissimo altorilievo sonoro e drammatico.
Il pubblico ha applaudito con grande generosità e convinzione, forse non abbastanza a lungo quanto la performance avrebbe meritato; resta il fatto che la sala teatrale era piena in ogni ordine di posti.
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