Messiaen misterioso e religioso

Al Festival Aperto Ciro Longobardi esegue i Vingt Regards sur l'Enfant Jésus

Longobardi
Recensione
classica
Teatro Valli, Reggio Emilia, Festival Aperto
Ciro Longobardi: Messiaen Regards
04 Novembre 2022

Quinto recital in due anni dedicato all'opera di Olivier Messiaen: ultima tappa di un'impresa che non ha precedenti in Italia: ad ogni tappa discografica dell'integrale pianistica, pubblicata da Brilliant, corrisponde un concerto a Reggio Emilia. L'interprete, straordinario, è Ciro Longobardi.

– Leggi anche: Gli uccelli di Messiaen secondo Ciro Longobardi

Chiusura perfetta di un viaggio in musiche imprendibili e grondanti un fascino fertile e misterioso, proprio a trent'anni dalla scomparsa del compositore di Avignone. Vingt Regards sur l'Enfant Jésus; venti pezzi, venti sguardi sul bambino Gesù: non aspettatevi però un'arte che segua in modo didascalico i canoni della musica religiosa occidentale. Messiaen è unico e indicibile e lo confermano anche le note del libretto di sala, scritte dallo stesso autore.

Un'apertura enigmatica eppure serena, come un battito di ciglia celesti o creature acquatiche: fauna del fondo. Poi nubi, pioggia, cadenze che annunciano tempesta. Il cronista tenta di procedere per immagini, senza un apparente filo logico, per cercare di catturare la natura di organismo biologico, per cogliere la traiettoria di questi imprevedibili movimenti, il ritmo di questo cuore profondo. Un sentimento religioso che ha un che di panico, diremmo pagano e si effonde in spartiti mobili, irrequieti, che procedono per avvisaglie, lampi, tuoni, saette.

Si comincia e si finisce spesso dentro un enigma, che non si risolve mai. Il discorso procede a balzi, a sincopi, per ellissi e metafore intraducibili che solo qualche volta si risolvono in una pace che ha però sempre un che di vagamente sorvegliato, felicemente ambiguo.

Sciami sismici, alisei, venti della musica che sarebbe stata in seguito (siamo nel 1944 quando Messiaen scrive questo ciclo): chi scrive ci sente echi dal futuro che poi avrebbe preso il nome di Frank Zappa, King Crimson, Henry Cow; in un frangente fa capolino una figura melodica austera e sgusciante che, disossata, riporta alla mente addirittura il tema morriconiano di The Hateful Height (quella colonna sonora valse l'Oscar al Maestro).

Talvolta meccanismi iterativi si inceppano e squagliano al sole come orologi di Dalì in altre forme, in altre immagini. Qualcuno scriveva che il miracolo della comunicazione è capirsi nonostante le spiegazioni ed ecco allora accordi gravi e gravisssimi a dire la parola onnipotente del bambino: altri venti, eventi improvvisi, caduta massi, discese, salite, altre discese, altre salite. Un vaghissimo cantabile che fa tornare in mente la musica meravigliosa ascoltata anni fa proprio in questo teatro per l'opera itinerante Tant Que Nous Sommes Vivants di Christian Boltanski, Jean Kalman e Franck Krawzyck.

Ma ogni paragone o accostamento non restituisce la suadente complessità che ci travolge: l'unicità di Messiaen risiede, oltre che nella messe di visioni che si susseguono nel viaggio, anche nella peculiarità del  suo sentimento religioso, nel modo in cui viene detto in musica. Se Lo sguardo degli angeli (Regard des Anges) ha un che di luciferino, tutti i pezzi paiono muoversi in una nebbia di allegorie dove balenano immagini che non si lasciano dipingere, tra spaventi, misticismo obliquo, ombre che abitano le viscere della terra, tensioni rarefatte, vertigini.

Strabiliante la bravura di Ciro Longobardi che rende con grande intensità l'intima sostanza di un suono vivo e pulsante: è la guida che accetta per noi e con noi l'invito all'altrove che uno dei più grandi geni del secolo scorso ci fa con la sua opera.

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