Musica per non perdere la bussola
A Macerata eseguita una selezione del ciclo di Kagel sulla Rosa dei Venti
La serie di I pezzi della rosa dei venti (Die Stücke der Windrose, 1989-1994) di Mauricio Kagel è uno dei lavori più noti ed eseguiti del compositore argentino-tedesco: sia per l’organico cameristico abbastanza confacente alle formule ‘a geometria variabile’ degli ensemble dediti alla musica del Novecento; sia perché vi si può costruire una serata monografica scegliendo una selezione degli otto brani del ciclo, ciascuno titolato con uno degli altrettanti punti cardinali, disegnando così un viaggio acustico assai immaginario – se non immaginifico – tra territori musicali dell’orbe. Peraltro, che si tratti di un viaggio mentale, è implicito nella definizione dell’ensemble come Salonorchester: le innumerevoli e cangianti nuance assicurate dal vasto e inconsueto set del percussionista (anche un ventilatore da tavolo) non contraddicono il riferimento a una fruizione – e a una strutturazione – ‘episodica’, edonistica, elevando paratassi e piacere dell’esotico a cifra compositiva anche seriosa.
Nell’ambito della sempre battagliera e meritoria Rassegna di Nuova Musica di Macerata (anche nel 2021, i consueti quattro concerti consecutivi), il Fontana Mix Ensemble ben diretto da Francesco La Licata ne ha proposti quattro, Norden, Osten, Nordosten, Westen: il gioco dell’autore sta pure nel mascherare il riferimento di partenza per gli orientamenti geografici, dato che scegliere la Germania o l’America latina ribalta di fatto prospettiva e ipotesi di riconoscimento da parte dell’ascoltatore. Alcuni materiali sono associabili ad aree geografiche per scelta timbrica o stilistica, ma non c’è mai una citazione autentica: tutto è filtrato attraverso una sensibilità enciclopedica e istrionica, ‘compositiva’ (nel senso più euroccidentale e neoavanguardista del termine) e ludica. Strumentazioni complesse e subitanei isolamenti solistici, accostamenti e traiettorie climateriche si avvicendano in un metodico caleidoscopio, che non stanca se non – paradossalmente – quando le ondate direzionate si propongono ravvicinate e dense. Ciò non impedisce la presenza di pezzi più compatti, quasi ‘tematici’, come l’enigmatico Nordosten. Al termine di ogni brano, gli strumentisti si voltano verso un punto equivalente al punto cardinale del titolo: è l’unica concessione di Kagel al suo famigerato gestualismo, in un ciclo che dunque resta focalizzato rigorosamente sul suono-come-tale, anche quando esso predispone evidenti implicazioni semantiche. Assai applauditi, meritatamente, gli interpreti, con bis del klezmeriano Osten.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln