Sulle strade di Stravinskij
I Solisti della Mahler Chamber Orchestra a Reggio Emilia, in un omaggio per il cinquantesimo della morte di Igor Stravinskij
Omaggio al genio di Igor Stravinksij nel cinquantesimo della sua morte da parte del collettivo nomade (45 musicisti di base provenienti da venti paesi diversi) Mahler Chamber Orchestra in un teatro nuovamente e finalmente pieno.
Apre il programma il fugace lampo di "Fanfare for a New Theatre" (1964), una quarantina di secondi che rendono solari i legami del grande russo cosmopolita con il jazz: le due trombe annunciano un nuovo mondo che aprirà il suo sipario di lì a pochi anni, ad esempio con Creative Music-1 Six Solo Improvisations di Wadada Leo Smith (1971, proprio l'anno della morte del compositore) e che oggi vede Peter Evans spostare sempre più avanti i confini di quelle esplorazioni.
Voliamo lambendo le orbite di un sistema musicale unico, inimitabile: nell'Ottetto per strumenti a fiato (1923) il respiro della composizione lascia emergere fantasie di creature marine, di viaggi tra immaginazione e folklore, in un succedersi di invenzioni nitide e lievi, emerse nella mente di Stravinskij dopo un sogno e che del sogno mimano la natura, delineando un'imprendibile modernità in perfetto equilibrio tra le Invenzioni a due voci di Bach e uno sguardo rivolto sempre avanti.
Le 6 Bagatelle per quintetto di fiati di Ligeti (1953), trascrizione di alcuni movimenti di Musica Ricercata, composti per pianoforte poco prima, frugano negli spigoli di diverse stanze musicali: alla forza ritmica si sovrappongono, come in un perfetto shangai, toni funebri, poi elegiaci, poi esplosioni primordiali, quasi una danza pagana, e nell'Allegro grazioso brillano frangenti dove planiamo dalle parti di Steve Reich, con un incedere che fa venire in mente anche la solennità estatica di un Terry Riley.
Con i fuochi d'artificio del Concertino per 12 strumenti torniamo a Stravinskij: composto per quartetto nel 1920 e rielaborato dall'autore stesso per ensemble allargato nel 1952, ci porta per mano e ci fa perdere (il disorientamento, l'imprevedibile in musica sono una qualità preziosa) in una fitta selva di creazioni mentre nel cielo del suono è tutto un crepitare di fuochi d'artificio.
Qualche spettatore non riesce nemmeno davanti a questa prodigi, eseguiti con maestria dagli interpreti, a sospendere la consultazione compulsiva del cellulare: come scrive il poeta afroamericano Thomas Sayer Ellis, «Quando hai cominciato a toccare lo schermo, l'amore umano è cambiato».
In Histoire du soldat fanno capolino le percussioni che donano un accento peculiare e squisitamente jazz al discorso: ecco da dove sono nate probabilmente formazioni come Pago Libre o Moscow Art Trio (con i russi Arkady Shilkloper ai fiati ed il compianto Misha Alperin al pianoforte, ucraino ma cresciuto artisticamente a Mosca e poi a Oslo) che hanno fatto dell'ibridazione tra generi diversi e della ricerca delle radici comuni tra questi la loro cifra.
La "Danza del diavolo" è un lampo che scolora nella serenità intatta e pur sempre vagamente enigmatica del Corale, prima del trionfo finale del diavolo che nella contesa per il violino e l'anima del soldato, vince.
In condivisione tra la Stagione dei Concerti della Fondazione I Teatri ed il Festival Aperto, la serata sembra, e ne abbiamo quanto mai bisogno, dare linfa e sostanza al titolo della rassegna di quest'anno: PrincipiO Speranza.
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