Harding "vola" con Schubert

Scala: successo per il concerto con la Filarmonica della Scala per il direttore inglese che è appena diventato pilota Air France

Daniel Harding
Daniel Harding
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Daniel Harding e la Filarmonica della Scala

Ben riuscita e di ottimo auspicio la serata inaugurale della Filarmonica della Scala 20/21, non solo perché con posti in platea e palchi occupati dal pubblico in carne e ossa (pur con numeri ancora ahinoi limitati), ma anche perché sul podio è salito Daniel Hardig, carico di nitida energia, trasmessa a un organico con cui ha una solida intesa di lunga data. Per dovere di cronaca va segnalato che il 15 settembre il direttore ha avverato un suo vecchio sogno ed è diventato pilota di linea di Air France, ma certo non lascerà la musica.

La prima parte della serata lo ha sicuramente facilitato con due scelte gioiose, l'Ouverture "in stile italiano" e la sinfonia n. 3 di Schubert, disseminate d'irresistibili arguzie rossiniane. Harding ha scelto attacchi lenti sottolineando così i contrasti con le impennate improvvise e analizzando ogni minimo passaggio, come per esempio nel quieto Ländler del terzo movimento (già da chiamare valzer, visto che la sinfonia è venuta alla luce pochi giorni dopo la conclusione del Congresso di Vienna), o nel furioso tempo di tarantella del finale. Eppure il generale ottimismo della composizione in certi passaggi ha ceduto il passo a drammatiche sonorità, che di solito non affiorano, anticipando così lo Schubert dell'Incompiuta e della Grande. E questo ha in qualche modo giustificato l'accostamento con la più seriosa seconda parte del concerto dedicata a Mendelssohn.

Dopo la turbolenta visionarietà delle Ebridi, dove l'orchestra ha mostrato grande compattezza pur senza mai nuocere ad alcuna sezione, è nella sinfonia n. 5 Riforma che direttore e strumentisti hanno dato il meglio. La sicura maestosità degli ottoni (mai un'imprecisione in tutto il concerto) e dei legni ha subito imposto una severa austerità, ora facendo risaltare i momenti più sereni, come l'eterea frase dell'Amen di Dresda, e quelli carnevaleschi, ora dando maestosità alle cadenze degli inni luterani disseminati in partitura. Ne è quasi uscito un racconto di tensioni continue, di tristezze, rigori, imposizioni, speranze, allegrie, del quale si può essere grati solo a Harding.

Non per nulla, cosa che è già successa dopo la prima parte, al termine della serata gli applausi sono stati interminabili e, dalle occhiate che il direttore-pilota si scambiava con gli orchestrali, forse soprendenti anche per lui. Non c'è che augurarci un suo presto ritorno alla Scala.

 

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