A Liegi Don Carlos torna alle origini

Prima versione in francese con la regia di Mazzonis

Don Carlos (Foto Opéra Royal de Wallonie-Liège )
Don Carlos (Foto Opéra Royal de Wallonie-Liège )
Recensione
classica
Opéra Royal de Wallonie-Liège
Don Carlos
30 Gennaio 2020 - 14 Febbraio 2020

Mettere in scena il Don Carlos come Verdi l’aveva originariamente pensato per l’Opéra di Parigi, senza tagli od aggiunte, è un’idea che Stefano Mazzonis di Pralafera aveva da tempo e perfettamente in linea con la sua missione di riproporre ogni anno a Liegi opere rare od edizioni originarie, od integrali, dei grandi capolavori del repertorio. Operazioni sempre interessanti per l’appassionato, anche se il rischio è anche sempre di apparire un po’ vecchi nell’allestimento per un pubblico d’oggi. Sopratutto di fronte ad una Grand Opéra che dura oltre 4 ore e in cui gli argomenti trattati non sono certo leggeri. Accenni di vecchiaia e pesantezza sono, forse inevitabilmente, proprio i maggiori, ma piccoli, peccatucci di questo spettacolo nel complesso comunque riuscito. Le scene, di Gary McCann, oscillano tra elegante essenzialità (la foresta di Fontainebleau, lo studio di Filippo II), belle pure le prospettive, ma dall’altra parte ingombri troppo grandi con cambi troppi lunghi che interrompono il flusso drammatico e allungano ancora la durata dello spettacolo. I costumi di Fernado Ruiz sono un capolavoro di fantasia e sartoria, un piacere per gli occhi, ma rigidi, arrivano a pesare dieci chili e gonfiano le figure. Scene e costumi sono valorizzati però dalle luci sempre misurate e appropriate di Franco Marri. Gli interpreti sono stati scelti con grande cura per la loro qualità vocale ma alcuni, pur avendo una splendida voce ben impostata, non sono adatti ai personaggi: il giovane don Carlos è il sessantenne tenore americano Gregory Kunde, ancora voce potente e squillante ma non ha più la sfumatura d’impeto giovanile che ci vorrebbe; Ildebrando D’Arcangelo poi come Filippo II non convince nel ruolo per motivi opposti, è troppo giovane e seducente in scena, assai elegante e godibile in “Elle ne m'aime pas”. Il mezzo americano Kate Aldrich, per la prima volta nei panni della Principessa Eboli, invece non è ancora padrona della parte che richiede più voce, vivacità e velocità. Emerge il baritono belga Lionel Lhote nei panni del pure giovane ma più responsabile Rodrigo, già dal famoso duetto iniziale con Carlos, e sarà alla fine il più applaudito dal pubblico. Bene anche Yolanda Auyanet come Elisabeth de Valois, annunciata alla première come sofferente, in realtà solo nella seconda parte della serata comincia a mostrare qualche difficoltà, sopratutto nelle note basse, dimostrandosi un bravo soprano Falcon che, per le sue capacità di acuti elevati ma allo stesso tempo anche di scendere in profondità, riesce ad esprimere in pieno i sentimenti contrastanti che animano il suo cuore. E non delude nemmeno Roberto Scandiuzzi come l’implacabile Grande Inquisitore. La prestazione del coro è altalenante; quella dell’Orchestra è invece garantita dalla presenza sul podio di Paolo Arrivabeni. 

 

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