Il giovane Alfano e la mattatrice
Al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Risurrezione, prima opera di Franco Alfano, nell'allestimento del festival di Wexford
Si dà al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Risurrezione di Franco Alfano, altrimenti noto al pubblico fino a pochi anni fa solo in virtù del completamento dell’incompiuta Turandot pucciniana. Ma di recente la riproposta di Cyrano alla Scala e Sakuntala all’opera di Roma ha riacceso i riflettori su questo compositore che per età (era nato nel 1875), formazione cosmopolita fra Napoli, Lipsia e Parigi, inclinazioni personali, si colloca a metà strada fra il vivido e talvolta gesticolante naturalismo della Giovane Scuola e i diversi orizzonti europei della generazione dell’Ottanta. La sua opera d’esordio, questa Risurrezione (sic) ispirata al romanzo di Tolstoj e diretta a Torino nel 1904 da Tullio Serafin, fotografa perfettamente questa sua posizione intermedia, e la passione per soggetti e fonti russe, anche con forti venature politiche e sociali, che produsse due opere importanti in Umberto Giordano (Fedora e Siberia) e suggerì diverse ipotesi compositive, poi scartate, anche a Puccini. Dal tipo Giovane Scuola viene dunque l’impianto drammaturgico di base e la natura liricamente espansa, parlante e fluente della vocalità, dalle acquisizioni più aggiornate (ma certo non ignote alla generazione precedente, pensiamo a Puccini) viene il mix stilistico di debussysmo e modalità post-tonale, con le relative concatenazioni armoniche e scelte timbriche. Ma, purtroppo, a questa scrittura effettivamente sorvegliata e a tratti persino elegante non ci è sembrata corrispondere una forza di invenzione adeguata, una qualche idea tematica che resti impressa, e alla fine si ha il senso di una costruzione che si muove sulle ali di un lirismo e di un drammatismo che l’orchestra canta spiegatamente, ma come senza un oggetto – senza motivo in tutti i sensi compreso quello wagneriano - che realmente la determini, insomma un Puccini peggio che minore più che un epigono di Debussy. C’è inoltre un libretto semplicemente ridicolo, opera di due drammaturghi dilettanti, i giornalisti italiani residenti a Parigi Camillo Antona Traversi e Cesare Hanau (solo quest’ultimo lo firmò), un testo sedicente in prosa ritmica che però affastella le gofferie peggiori della peggiore librettistica in versi.
Insomma, una riscoperta che l’ascolto della prima di venerdì non ci ha reso particolarmente gradita, ma il bilancio migliora sotto l’aspetto della realizzazione, con l’allestimento che veniva dal Wexford Opera Festival. Intanto per la presenza nel ruolo protagonistico di Katiusha di una mattatrice che ascoltavamo per la prima volta a Firenze, Anne Sophie Duprels, luminosa e potente oltre che tecnicamente ferrata, convenientemente ma più pallidamente affiancata negli altri ruoli principali (il seduttore pentito Dimitri, il deportato di nobile sentire Simonson), da Matthew Vickers, bravo tenore ma sommerso dall’acustica di questo teatrone, e l’incisivo baritono Leon Kim, e da uno stuolo di seconde parti fra cui segnaliamo per presenza vocale e scenica l’Anna di Romina Tomasoni. Bella la scena di Tiziano Santi evocante in modo chiaro e lineare, via via, una dimora aristocratica, una stazione, una casa di correzione e un luogo di deportazione in Siberia, al pari dell’ottima regìa, all’insegna di un realismo intenso ma sorvegliato, di Rosetta Cucchi, molto bene anche Francesco Lanzillotta alla guida dell’orchestra e coro del Maggio, buon successo ma in un teatro decisamente sguarnito di pubblico, repliche 19, 21 e 23 gennaio.
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