Un Simon Boccanegra equilibrato a Bologna

Al Teatro Comunale di Bologna con un’elegante Yolanda Auyanet e un generoso Michele Pertusi

Simon Boccanegra al Teatro Comunale di Bologna
Foto di Rocco Casaluci
Recensione
classica
Teatro Comunale, Bologna
Simon Boccanegra
13 Aprile 2018

La riesumata regia di Giorgio Gallione del Simon Boccanegra non è invecchiata, e nella ripresa odierna al Teatro Comunale di Bologna non risente troppo né della decade passata dalla sua ideazione, né della privazione di parte delle scene di Guido Fiorato.

Dai tratti essenziali, evoca i contesti, caratterizzandoli con dettagli tipici “genovesi”, ovvero la pavimentazione a mosaico acciottolato rissêu e le scalinate con decorazioni geometriche che alternano ardesia e marmo. Un fondale celeste, poi, muta la gamma cromatica al mutare delle ore del giorno e delle dimensioni psicologiche (grazie anche alle attente luci di Daniele Naldi).

Mancano gli effetti prospettici delle scene verticali originali, ma poco male: i veri protagonisti sono i cantanti. I movimenti scenici di masse corali (preparate da Andrea Faidutti) e solisti sono misurati ma accurati, e basta loro poco per enfatizzare con la naturalezza dei gesti un concetto, un’inquietudine, una parola.

Simon Boccanegra
Foto di Rocco Casaluci

Maestra in questo è Yolanda Auyanet, elegante interprete di Amelia Grimaldi, le cui sottigliezze espressive e facilità d’emissione non perdono di candore nemmeno nei passaggi di maggiore veemenza. 

Attorno a lei un folto gruppo di voci maschili ingarbugliano una matassa di fosche trame di potere, rapimenti, corruzioni e sofferenze. Il predominio di timbri scuri evoca di per sé sotterfugi e verità nascoste, ma la delineazione emotiva di ognuno degli interpreti è di grande espressività: l’avveduto ma tormentato Simon Boccanegra di Dario Solari, l’infido Paolo Albiani di Simone Alberghini, presenza scenica accattivante, il suo fedele e operoso Pietro di Luca Gallo. Brilla Michele Pertusi, che si dà generosamente per Fiesco (da brividi il suo “lacerato spirito”), mentre il tenore Stefan Pop tratteggia un Gabriele Adorno dal timbro luminoso.

Se il direttore Andriy Yurkevych manca forse di tempra nell’arduo compito di dipanare tutti i complessi e inusitati impasti di questa partitura, questo non mina però la forza comunicativa del bell’allestimento.

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