La Sonnambula di Jessica Pratt
Delude la direzione di Speranza Scappucci e non convince lo spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti
Questa Sonnambula ha una protagonista e si chiama Amina. Semplice ma vero. Jessica Pratt ha infatti dominato la scena dall’inizio alla fine, dapprima mettendo a frutto soprattutto la sua impeccabile tecnica belcantistica, che rispetto ai suoi esordi è diventata ancora migliore, più fluida e meno meccanica, più spontanea e meno esibita. Nel secondo atto, quando la temperie emotiva sale, anche la sua interpretazione cresce e raggiunge un vertice in “Ah, non credea mirarti“, proprio il pezzo apparentemente più semplice, in cui la capacità tecnica fa un passo indietro rispetto al dono di infondere emozione alla melodia e di toccare il cuore dell’ascoltatore. Che Amina domini è nella natura dell’opera, ma questo non significa che gli altri fossero pallidi. Giunto ai quarant’anni, Juan Francisco Gatell, che abbiamo ascoltato tante volte come tenore leggero rossiniano, ha deciso di fare un passo avanti: all’inizio è sembrato che il passo fosse più lungo della gamba, perché in “Prendi: l’anel ti dono” non riusciva a dare l’involo alla lunga e meravigliosa melodia belliniana e nella successiva cabaletta “Tutto, ah! tutto in quest’istante” ha avuto momenti di difficoltà e ha fallito il do acuto. Molto meglio nel secondo atto, anche perché la sua scena ed aria ha una tessitura più centrale. Molto bene Riccardo Zanellato (Conte Rodolfo). Nei ruoli minori, ognuno dei quali ha però qualche momento da protagonista, si sono fatti onore tre cantanti che hanno seguito “Fabbrica”, il progetto dell’Opera per giovani artisti: erano Valentina Varriale (Lisa), Reut Ventorero (Teresa) e Timofei Baranov (Alessio).
L’aspetto vocale era dunque complessivamente adeguato, sebbene non stratosferico, eppure quest’edizione della Sonnambula non ha convinto del tutto. Speranza Scappucci non è riuscita far passare una sua visione d’insieme dell’opera, soprattutto per quel che riguarda la gestione dei tempi, spesso troppo lenti, talvolta invece vorticosi. E i pezzi d’insieme non erano pienamente governati, col risultato che tutti cantavano e suonavano forte e si “coprivano” a vicenda. Ormai non è più una novizia del podio – da questa stagione è anche direttore principale dell’Opéra Royal di Liegi – ma la sua trasformazione da pianista collaboratrice a direttrice d’orchestra non sembra ancora totalmente compiuta.
Lo spettacolo veniva dal Petruzzelli di Bari, dove è andato in scena nel 2013 (vedi la recensione) ma i costumi (di Angela Buscemi) e video sono stati rifatti ex novo. Più che la regia erano le scene e i video a fare lo spettacolo. Le scene di Cristian Taraborrelli proponevano un mondo in cui le dimensioni erano sottosopra, con gli oggetti di arredamento giganteschi rispetto agli umani e le case del villaggio lillipuziane: forse un mondo onirico, più probabilmente un mondo-giocattolo, una specie di casa delle bambole. E in effetti di bambole e pupazzi ce ne erano più di uno in scena, tra cui primeggiava un orsacchiotto di pelouche grande come Amina, che se lo stringe al petto, ci gioca, ci balla, come una bambina. Nel secondo atto però Elvino compare in scena con un fucile e – non ci crederete – spara all’orsacchiotto: significa che simbolicamente uccide Amina? O che i due dicono addio all’ “età dei giuochi e dei confetti”? Non è chiaro né molto importante. Questo è il solo momento in cui Giorgio Barberio Corsetti ha fatto sentire la sua presenza come regista, per il resto limitandosi all’indispensabile, senza un lavoro approfondito sui personaggi. A movimentare un po’ lo spettacolo provavano i video di Gianluigi Toccafondo, che non sempre avevano un rapporto con la musica: talvolta erano un vorticare d’immagini, magari andando a disturbare proprio i momenti più estatici dell’opera, talvolta erano invece solo uno sfondo colorato.
Successo cortese, ma con qualche fischio - non particolarmente insistente - per il regista e la sua equipe.
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