La rondine di Puccini apre la stagione di Catania
Convince l'allestimento di Gianluigi Gelmetti e Eleonora Paterniti per il Teatro Massimo Bellini
I tableaux vivants che aprono i primi due atti dell’allestimento di La rondine inaugurale della stagione 2018 al Teatro Massimo Bellini di Catania vengono messi in moto, dall’interno della scena, da un testimone-regista occulto, il Maggiordomo: per le sue battute in partitura (più un’apparizione fantasmatica e un’altra di chiusura) ritornerà nell’ultimo atto, nella lettura registica che dell’elegantissimo titolo pucciniano danno Gianluigi Gelmetti (impegnato anche come direttore in alternanza con Leonardo Catalanotto) ed Eleonora Paterniti.
La soluzione spinge la drammaturgia verso una modernità epico-teatrale, sulla quale in effetti La rondine si affaccia, in barba a qualsiasi semplificante lettura verista, e pur senza eludere (anzi potenziando, per certi aspetti) l’impianto dialogico-interpersonale: costruita a mo’ di anti-Traviata, di sua decostruzione problematica, vede al centro un’eroina tutta novecentesca, degna di un dramma ibseniano, che vive una stagione d’amore puro con la sotterranea consapevolezza della sua temporaneità, e perciò come proiezione di una bella ma mera illusione. Lo scontro con la realtà (un orizzonte borghese dopotutto non arcigno) lascia lacerazioni non meno profonde della morte tragica, e nel gioco di specchi tipici di una tragicommedia si riverbera nella coppia Prunier-Lisette: anche lì, un voler-far-essere, un proiettare la propria immagine sull’altro-da-sé che, tuttavia, affermerà alla fine le sue prerogative, conducendo al compromesso invece che alla catastrofe.
Entro quest’articolata impalcatura, Gelmetti punta anzitutto sulle qualità della partitura, che sono veramente notevoli: in aggiunta alla raffinatezza armonica e d’orchestrazione, Puccini scava e reinventa la tradizione melodrammatica del canto parlante, sorretto – per la continuità discorsivo-musicale – dalla figuralità strumentale; quest’ultima prende spesso qui la strada dell’iterazione direzionata (come entro il magistrale finale), sbocciando nel dispiegamento melodico proprio alll’emergere dell’illusione vitale. L’azione, complici scene e costumi (complessivamente efficaci, con menzione speciale per il tableau del secondo atto) di Pasquale Grossi, è spostata nel liberty d’inizio secolo, cioè ai tempi di Puccini, senza troppo insistervi nel minimale terzo atto, movimentato con cangianti sfondi cromatici: i personaggi si muovono sottolineando relazioni reciproche e tessuto dialogico-melodico, e qua e là per segnalare (esplicitamente, senza tabù) il differente rapporto tra Magda e i suoi due amanti.
In un titolo del genere, la coralità di squadra e il flusso complessivo vengono in primo piano, e l’esito catanese è riuscito molto positivo, mettendo in sott’ordine (ma insieme valorizzando quali inevitabili varianti interpretative) le diverse sfumature rilevabili nei due cast: a partire dalla convincente prova di Orchestra e Coro del Teatro, che nell’identità di flusso ha reagito in modo differente alle due bacchette (il nerbo magnetico della direzione di Gelmetti si è in ogni caso riconosciuto). La Magda di Patrizia Ciofi ha puntato sulla notevole sensibilità di fraseggio e d’espressione, con la quale l’encomiabile interprete ha tenuto in piedi una sfortunata contingenza di salute vocale; Cristiana Oliveira ha mostrato dal suo canto, nel ruolo, convincente maturità e ulteriori margini di crescita. Filianoti ha fatto molto bene, anche nella centratura espressiva del personaggio (tra intensità e misura del lirismo), reso con professionalità nell’altro cast da Danilo Formaggia. Ottimi ambedue i Prunier, un più stilizzato e raisonneur Andrea Giovannini, un più dinamico e demiurgico Francesco Castoro (interprete di prospettive veramente interessanti). Abilissima Ivanna Speranza nel cambiare pelle, nei due cast, da una spigliata e scenicamente preponderante Lisette, alleggerita nella vocalità, a un’ammaliante, pastosa Yvette; benissimo pure l’altra Lisette, Angela Nisi, non meno efficace in scena attraverso una solidissima plasticità e precisione ritmico-articolativa del canto. Ben disegnato nel carattere vocale-espressivo il Rambaldo di Marco Frusoni. Positiva e correttamente inserita nel collettivo la prova degli altri ruoli (Pilar Tejero, Katarzyna Medlarska, Sofia Folli, Jesus Piñeiro, Giuseppe Toia, Salvo Di Salvo).
Pubblico numeroso e plaudente, perfino animato (non è scontato, a Catania) in ambedue le serate seguite (il 20 con il secondo cast, direttore Catalanotto; il 21 con il primo cast, direttore Gelmetti): un buon segno, per partire.
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