I bohèmien di Vick in fuga dai sogni infranti
Grandi applausi per la nuova Bohème di Graham Vick e Michele Mariotti, che inaugura la stagione del Comunale di Bologna
Quale miglior teatro per debuttare con questa quarta Bohème di Graham Vick se non quello della città universitaria italiana per antonomasia? Sembrano proprio studenti fuori sede questi bohémien che invitano all’immedesimazione e alla commozione, e questo allestimento dalle scene quasi neorealiste (di Richard Hudson, quasi le stesse della versione che Vick debuttò ad Atene una decina d’anni fa) riscuote grande successo.
La direzione di Michele Mariotti è sublime, e assicura una compenetrazione profonda tra il ritmo registico e quello musicale. L’ambientazione è semplicissima, calata nel più familiare e contemporaneo quotidiano, tuttavia evidenzia l’appartenenza della trama a qualsiasi epoca. La profondità retorica è tutta nell’azione, nell’espressioni, nel canto ed è efficacemente veicolata dall’interpretazione di tutti i giovani cantanti, che oltre alla perizia vocale dimostrano anche abilità di veri attori.
I quattro amici Rodolfo (Francesco Demuro), Marcello (Nicola Alaimo), Schaunard (Andrea Vincenzo Bonsignore) e Colline (Evgeny Stavinsky) e le due giovani – del pari seducenti – Mimì (Mariangela Sicilia) e Musetta (Hasmik Torosyan) condividono quel poco che hanno e allo stesso tempo sono egoisti, indifferenti allo squallore dello svendersi per una dose in un vicolo buio, ma sono soprattutto accomunati da una medesima tendenza: quella alla fuga. Tramite sostanze stupefacenti o negando le proprie responsabilità, tutti evitano realtà e dolore: questo il fine dell’ultimo farmaco per Mimì, un’iniezione di eroina, l’oppiaceo dei poveri; questo ciò che fa Rodolfo (“l’amo, ma ho paura!”), il quale al sopraggiungere della cattiva sorte sembra impaziente di liberarsi di un peso.
Nel momento della tragedia poi, anche gli altri sono contagiati: nessuno resta con la morta. Se la lettura è crudelissima, non c’è però giudizio: sarebbe troppo facile accusare una generazione di “voler rimanere giovane per sempre”, se questa non può nulla contro un sistema che ne infrange costantemente i sogni nel precariato.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln
Federico Maria Sardelli e il sopranista Bruno de Sá per un programma molto ben disegnato, fra Sturm und Drang, galanterie e delizie canore, con Mozart, da giovanissimo a autore maturo, come filo conduttore