Scala: un Fledermaus "alla milanese", poco riuscito
La prima volta del Fledermaus al Teatro alla Scala, con una produzione che non fa onore all'operetta di Johann Strauss
La prima volta di Fledermaus alla Scala avrebbe meritato di meglio. Invece di farne una nuova produzione sarebbe stato più semplice importare un qualsiasi allestimento dalla Volksoper per dare un saggio al pubblico milanese di cosa sono l'eleganza, l'umorismo, la bonomia del mondo dell'operetta viennese.
Tratti del tutto ignorati dall'edizione firmata dal regista Cornelius Obonya, che finisce per perdere l'anima stessa di Johann Strauss. L'azione è spostata in una località austriaca alpina, anche se non c'è sponsor della Scala che non venga citato, sia che produca orologi (insopportabile il continuo sottolinearne la presenza al polso da parte dei cantanti), sia che produca scarpe, vestiti o spumanti. Si accenna perfino a un noto salumiere, tempio milanese della gastronomia, costretto a far catering a centinaia di chilometri. I dialoghi, parte anche in italiano con dizione forzata, sono stati debitamente modificati per raccontare un mondo di cafoni riccastri, come è modificato il ruolo en travesti del principe Orlofsky qui dichiaratamente oligarca femmina. La migliore del cast risulta Daniela Fally nei panni della cameriera Adele, per voce, per spiritosa presenza scenica; mentre Paolo Rossi come carceriere Frosch, costretto a giustificare la sua presenza nel primo atto rovesciando senza motivo una gigantesca scultura, se la cava bene nel terzo come maestro di cerimonie della prigione. Surreale, buon etilista, ha una sua sgangherata signorilità.
Il secondo atto è quello che offre il peggio della messa in scena, con quanto di più ovvio potrebbe realizzare uno studio televisivo di terz'ordine, funamboli compresi, compreso anche il corpo di ballo della Scala annunciato da Falke come la vera chicca della serata. Insomma un Fledermaus "alla milanese", com'era stato annunciato in conferenza stampa, ma di bassa qualità e che soprattutto non fa onore alla partitura. Sul podio Cornelius Meister fa quel che può, senza però riuscire a rendere la leggerezza e la raffinatezza straussiane.
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