Il Massenet di Lorenzo Viotti all’Oper Frankfurt
Ripresa dell’allestimento del Werther di Willy Decker con Attilio Glaser protagonista
In un dicembre ad alto tasso goethiano nelle scene operistiche, la sua città natale non poteva certo mancare all’appello. L’Oper Frankfurt riporta in scena il Werther di Jules Massenet nella collaudatissima produzione di Willy Decker, inaugurata nel teatro nel 2005 ma nata qualche anno prima ad Amsterdam e circolata in alcuni teatri europei. L’interesse principale di questa quarta ripresa era la presenza sul podio del giovane direttore Lorenzo Viotti, laureato del concorso per giovani direttori del Festival di Salisburgo nel 2015 oltre che di quelli di Cadaqués e della MDR Sinfonieorchester di Lipsia e già avviato a una brillante carriera internazionale. Viotti arrivava sul podio della Frankfurter Opern- und Museumsorchester dopo aver diretto solo qualche settimana fa l’opera di Massenet nello Stadttheater di Klagenfurt. Già nella presentazione dell’opera davanti al pubblico francofortese, Viotti dava prova di una profonda conoscenza e di una visione lucida di questo Werther francese riletto da Massenet. Visione che esprimeva attraverso una direzione di grande equilibrio e misura e perfettamente in controllo dello strumento orchestrale. Grande la cura delle miniature strumentali e delle sfumature coloristiche piegate alle esigenze espressive della partitura massenetiana nel continuo alternarsi di momenti leggeri affidati alle figure di contorno e di alta temperie drammatica della coppia dei protagonisti. Nel complesso una prova matura e spia di una spiccata personalità musicale.
Direzione a parte, anche il cast vocale risultava ben assortito e contava su un buon protagonista nel tenore Attilio Glaser, in forza alla Deutsche Oper, che debuttava nel ruolo solo qualche settimana fa anche a Klagenfurt. Bel timbro lirico, fraseggio curato, interpretazione attenta alle sfumature del ruolo erano le qualità più apprezzabili del suo Werther. Non meno convincente era la Charlotte di Julie Boulianne, disegnata con tratti di pudica introversione espressa attraverso una linea di canto limpida e caldo timbro vocale. Degli altri, si distinguevano Louise Alder infondeva a Sophie il sorriso e la limpida freschezza dell’innocenza e la divertente coppia formata da Barnaby Rea (Johann) e Peter Marsh (Schmidt), due becchini in stravaganti costumi nero corvino, e il sempre apprezzato professionismo del veterano Franz Mayer (il borgomastro). Molto bene anche il coro dei bambini dell’Oper Frankfurt preparato da Nikolaus Henseler.
Regge ancora bene gli anni la produzione di Willy Decker (ripresa da Benjamin Cortez) con le geometriche scene di Wolfgang Gussmann dalle sghembe prospettive quasi espressioniste con aperture su astratti scorci paesaggistici che rimandano ai modi pittorici del protoromantico Friedrich specie nell’ingresso in scena di Werther di spalle contro il cielo. Marcatamente schematica e antinaturalista la chiave scelta dal regista per il mondo funebre attorno a Werther, che si distacca, anche cromaticamente, da quella dominante nera. Di effetto il finale con il protagonista che compie il passo fatale contro un paesaggio nevoso nell’immobilismo della microsocietà del tutto indifferente al suo dramma.
Pubblico numeroso, caldi applausi.
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