Lo straniante atlante musicale di Giovanni Mancuso
La prima di Atlas 101 del compositore veneziano al Teatro Comunale di Treviso, una spy story onirica fra jazz-rock e contemporanea
Hedy Lamarr e George Antheil, Santa Rosalia e Ganesha, vescovi e creature oniriche.
Si potevano incrociare solo in un lavoro di teatro musicale di Giovanni Mancuso, compositore veneziano che da sempre ama mescolare mondi, influenze, ossessioni e storie. In prima al Teatro Comunale di Treviso, Atlas 101, questo il titolo dell’opera, è un lavoro che colpisce per fantasia e costruzione musicale, non a caso salutato da applausi più che calorosi.
Il soggetto e la trama, come si può intuire, non sono facili da riassumere e, volutamente, restano piuttosto oscuri e imprevedibili anche per lo spettatore: a partire dalla vicenda, storica, della collaborazione scientifica tra le bellissima attrice Hedy Lamarr e il compositore George Antheil (che portò al brevetto di un sistema di cambiamenti di frequenza utili all’epoca della Seconda Guerra Mondiale per evitare che venissero intercettati i siluri, ma ancora oggi alla base dei sistemi di telefonia mobile), Mancuso intreccia una spy story onirica e scoppiettante, in cui il mondo del sogno e quello della realtà, complici i funghi allucinogeni cucinati dalla cuoca messicana dell’attrice, si scambiano spesso di ruolo.
Non è un caso che la regista Chiara Tarabotti abbia pensato a una scena in cui lo spazio della platea di un cinema è il mondo onirico, mentre quello che c’è dietro lo schermo è reale. Allestimento efficace, in cui le figure coloratissime delle tre donne del sogno rischiano più di qualche volta di rubare la scena a Lamarr e Antheil, grazie a un segno fisico e vocale apertamente visionario.
La musica di Mancuso ha ulteriormente metabolizzato qui i forti richiami a Frank Zappa e alle esperienze più articolare a cavallo tra jazz e rock. Su scansioni ritmiche complesse, ma ricche di groove, Mancuso costruisce una partitura divertente e articolata, in cui può mettere a piene mani tutte le sue piccole e grandi ossessioni, ben assecondato dai bravissimi e giovani esecutori dell’ensemble Chironomids Outerspace Group.
È musica che dalla propria incongruenza di base trae una notevole forza straniante e patisce qualche (più raro) punto debole. Straniante è certo il rincorrersi di cose fuori posto, di meta-citazioni e rimandi che sono chiari più o meno solo al suo autore (pensiamo a tutto quello che riguarda Palermo, ma anche ai discorsi del sovrintendente) e che complicano apparentemente senza motivo quella che invece potrebbe essere l’esigenza di semplicità un po’ massimalista del fare teatro musicale. Straniante è introdurre modalità jazz-rock (quindi apparentemente “nuove” per il teatro musicale) quando ormai anche queste sono diventate pressoché irrilevanti e vetuste per il pubblico più giovane. Straniante è concepire una musica così potente per una trama così difficile da seguire, con il concreto rischio che si segua più quello che avviene in buca che non quello che avviene sul palco. Straniante e spesso, più meno paradossalmente, azzeccatissimo.
Perché di questa musica coloratissima rimane un segno giocoso e serissimo al tempo stesso, una solidità che trova nell’imprevedibile ulteriore solidità. Forse meno convincente è la parte vocale (pur ben assecondata da tutti i protagonisti), in cui il retaggio di angolosità novecentesche un po’ graffia il velluto della tessitura strumentale.
Quello di Mancuso è un mondo che rifiuta in fondo di piegarsi alle regole dei formati e dei tempi: ci entra quindi splendidamente sghembo dentro la scatola teatrale, ma non ne può fare a meno, si alimenta di essa per la propria sferzante carica espressiva e ironica, rincorre la storia per annientarla, ma come il Coyote con Bip-Bip, sa che non la raggiungerà mai e il divertimento sta in fondo nelle trovate per cercare di farla propria.
Non resta che ballare sulle macerie, al suono di un bell’arrangiamento di "Zomby Woof" di Zappa: è il momento del bis, con il cast a danzare sul palco, quasi a esorcizzare la propria stessa, meravigliosa, capacità di fare sogni coloratissimi. Almeno per una sera.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Le buone intenzioni della direzione artistica e l'impressione di un dialogo con gli altri mondi musicali rimasto incompleto
A Pesaro la prima nazionale della performance multimediale Kagami, di Ryuchi Sakamoto
Una sfida alle tradizionali divisioni per generi i nuovi spettacoli di Alessandro Sciarroni, Silvia Gribaudi e Anagoor a OperaEstate di Bassano del Grappa e la Medea secondo Ben Duke alla Biennale Danza