Il Belcanto di Jessica Pratt incanta Liegi

La cantante all'Opéra de Liège insieme ad Alessandro Liberatore

Jessica Pratt
Foto di Marcello Orselli
Recensione
classica
Opéra de Liège
Jessica Pratt
21 Ottobre 2017

A dieci anni dal suo debutto nel 2007 nei panni di Lucia di Lammermoor, ruolo che le ha donato fama ed ad oggi ha interpretato in più di 27 produzioni, Jessica Pratt ha regalato al pubblico dell’Opéra de Liège una serata incantevole nel segno del Belcanto. Al suo fianco il tenore Alessandro Liberatore, anche lui in stato di grazia e perfettamante a suo agio nel repertorio scelto per la serata, e sul podio il maestro Massimo Zanetti che in questi giorni a Liegi nello stesso teatro sta dirigendo la Norma

La Pratt ha mostrato tutta la sua bravura come soprano leggero, la sua padronanza tecnica, il suo virtuosimo, la facilità a prendere le note, anche quelle più alte, con una voce che si caratterizza per dolcezza, grazia ed eleganza. Un po’ meno convincente e dotata è apparsa quindi nelle arie che richiedono più volume, una tessitura più pesante, gravi più pieni e spessi, più drammaticità. Desiderio di allargare il repertorio, anche là dove è meno perfetta, che il pubblico le ha comunque perdonato senza troppi problemi. La ben studiata scaletta ha alternato assoli e duetti con ouverture a volte suonate con fin troppo coloritura, come quella del Don Pasquale o quella de La Favorite, altre invece con il giusto trasporto e perfetta maestria dei movimenti lenti, come nel caso dell’overture de Il Pirata e del Guillame Tell

Dopo un inizio non esaltante con “Il faut partir..” da La Fille du régiment – e lo stesso si può dire dell’interpretazione dei brani tratti dall'Elisir d’amore, dove invece Liberatore si è mostrato maestro – la Pratt ha cominciato a sfoderare tutte le sue capacità e la sua lievità in “Volgon tre lune...” dalla poco rappresentata Rosmonda d’Inghilterra di Donizetti, cominciando a strappare applausi, e ancora di più con la celeberrima “Ah non credea mirati” da La Sonnambula e con “Eccomi in lieta vesta” de I Capuleti e i Montecchi di Bellini, e così via, brillando per virtuosimo. Sino a sfoderare nel finale un’inaspettata, sino a quel momento ironia, e capacità interpretativa nel divertente bis che ha definitivamente conquistato la sala. 
 

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