Santo Edoardo II, martire gay
La nuova opera di Scartazzini e Jonigk debutta alla Deutsche Oper di Berlino
Un re debole in un contesto politico segnato da turbolenze e instabilità politiche e per di più con legami in odore di omosessualità con il favorito Gaveston. Di Edoardo II, re d’Inghilterra fra il 1307 e il 1327, è soprattutto quel legame ad aver segnato il profilo e, più che per i trattati di storia, per i ritratti che ne fecero Christopher Marlowe nella sua tragedia e, più recentemente, Derek Jarman nel suo film. Se in Marlowe e in Jarman, filmmaker di nota militanza omosessuale, il legame fra Edoardo e Gaveston veniva comunque contestualizzato sullo sfondo delle tensioni politiche dell’epoca, forte è l’impressione che il libretto di Thomas Jonigk per la nuova opera di Andrea Lorenzo Scartazzini punti piuttosto all’esaltazione agiografica del sovrano, vittima, come Gaveston, delle violenze omofobiche di chiesa e popolo. Il fervore ideologico del testo si traduce in un tono generalmente sentenzioso e spesso pesantemente didascalico, come in certi prodotti dell’impegno politico post-sessantottino, con la significativa differenza che l’operaio cede il passo all’omosessuale vessato dall’ “uomo comune, che è stupido, avido e manipolabile, che non capisce niente e malgrado questo ha un’opinione su tutto” (citazione dal libretto). Inevitabilmente passano in secondo piano alcuni innegabili pregi, come la presenza dell’elemento comico in personaggi minori (pur con qualche eccesso goliardico) e soprattutto il ritratto di un uomo, Edoardo, per metà Amleto paralizzato dal dubbio e per metà Federico di Homburg intrappolato nel sogno. Anche sul piano musicale questo Edward II privilegia le tinte forti e le sonorità virulente dell’orchestra piena e del grande coro nelle frequenti scene di massa. Meno incisivi sul piano drammatico, invece, risultano i momenti più intimistici così come il monologo finale di Edoardo, povero di lirismo sincero. Se qualche riserva si può avanzare sulla concezione complessiva dell’opera, non è così per l’esecuzione musicale, che conta sull’elevata qualità delle compagini orchestrali e corali della Deutsche Oper guidati con mano salda da Thomas Søndergard, oltre che su un cast prevalentemente maschile che, pur privo di punte di eccellenza anche nel pensoso protagonista Michael Nagy e ancora meno nella pallida regina Isabella di Agneta Eichenholz, assicura una buona resa vocale e soprattutto fisica. Gioiosamente e orgogliosamente omofilo è l’allestimento firmato da Christoph Loy, di solito molto controllato, ma qui a briglia sciolta in certi eccessi macabri e militanti. Il rodato mestiere di Loy si conferma soprattutto nell’abilità a costruire situazioni di un certo impatto visivo in particolare nelle scene di massa, ma il cliché è dietro l’angolo. Sala gremita, applausi calorosi.
Note: Commissione della Deutsche Oper di Berlino con il sostegno della Ernst von Siemens Musikstiftung e della Pro Helvetia, Schweizer Kulturstiftung. Nuova produzione. Date rappresentazioni: 19, 24 febbraio, 1, 4, 9 marzo 2017.
Interpreti: Michael Nagy (Edward II), Agneta Eichenholz (Isabella), Ladislav Elgr (Piers de Gaveston), Andrew Harris (Roger Mortimer), Burkhard Ulrich (Walter Langton, vescovo di Coventry), James Kryshak (Lightborn), Jarrett Ott (Angel), Markus Brück e Gideon Poppe (soldati, consiglieri, guide turistiche), Gieorgij Puchalski (Spencer jr.)
Regia: Christof Loy
Scene: Annette Kurz
Costumi: Klaus Bruns
Orchestra: Orchester der Deutschen Oper Berlin
Direttore: Thomas Søndergard
Coro: Chor der Deutschen Oper Berlin
Maestro Coro: Raymond Hughes
Luci: Stefan Bolliger
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