Quest'anno la stagione primaverile della Royal Opera House è dedicata al contrasto tra paganesimo e cristianesimo, il mondo delle caverne ed i castelli, il dramma psicologico del ventesimo secolo e l'eroe stile anni ’40 dell’800. Punta di diamante questo Tannhäuser pensato sul profilo spirituale più che sensuale, diretto da Hartmut Haenchen alla testa di orchestra e coro della Royal Opera House al Covent Garden. Tanti applausi per lui che, senza incertezze, ha evidenziato tutta la tavolozza di una partitura ricca di raffinatezze timbriche. Il personaggio tragico e forte totalmente pennellato per il tenore tedesco Peter Seiffert, assolutamente non nuovo in questo ruolo, voce maliosa, lucente, sembra cantare il tutto come un lungo lied. Tannhäuser è in effetti questo: colui che cerca una tragica rinuncia al mondo da subito emana dolore. L'inizio è un baccanale frenetico e simbolicamente sensuale, coreografato dall'israeliana Jasmin Vardimon, anche bello, plastico, immaginato come teatro nel teatro, forse omaggiando Shakespeare in quest'anno di anniversario, ma in maniera totalmente estranea al continuo delle scene che manterranno fino al termine un rigore di spazio, essenzialità seppur confusa, ma soprattutto un colore scuro e tetro perdendo quella stravaganza della versione cosiddetta "parigina" dell'opera, che poi è la partitura di Vienna del 1875.
La parte meno riuscita è proprio il punto cruciale di tutta l'opera, al II atto, nel Wartburg, in cui l'azione porta Wolfram a scontrarsi con la sofferenza di Elisabetta. Di tutt'altro effetto il coro che apre e chiude con grande forza persuasiva Tannhäuser. Nell'insieme la messinscena ha congruenza visiva, anche se non progredisce né regredisce - si muove poco, mentre latita la regia, brancolante in un buio di fonti letterarie, storiche e didascaliche del libretto, senza i suoi archetipi del passato, come Venusberg, la corte, la valle ecc.. Sfugge tutto il concetto della celebrazione della Madonna, Maria, Madre e vergine che muove il dramma e la sua celebrazione interiore - "la mia salvezza è in Maria". Quasi nulla in scena, una lunga fila di candele per il secondo atto e poi il nulla. Elisabetta è Emma Bell al suo debutto londinese, di lusso vocalmente, in un crescendo esatto di drammaticità. Cede talvolta l'intonazione in un registro scolpito e perennemente acuto. Canta luminosa e giusta Sophie Koch in Venere. E' baritono di spessore tragico Christian Gerhaher, che ritorna a Covent Garden dopo l'interpretazione dello stesso Wolfram nel 2010. Importante l’ Herrmann di Stephen Milling e Biterolf Michael Kraus, come gli interpreti di Walther von der Vogelweide Ed Lyon, Heinrich der Schreiber Samuel Sakker e Reinmar von Zweter Jeremy White. In conclusione, il podio ha molte qualità, individua perfettamente i tempi della lunga opera e lima i dettagli in ogni singola scena, ma non ci sono invenzioni travolgenti o scene memorabili in questo Tannhäuser.
Note: foto Clive Barda
Interpreti: Tannhäuser Peter Seiffert, Elisabeth Emma Bell, Venus Sophie Koch, Wolfram von Eschinbach Christian Gerhaher, Herrmann Stephen Milling, Biterolf Michael Kraus, Walther von der Vogelweide Ed Lyon, Heinrich der Schreiber Samuel Sakker, Reinmar von Zweter Jeremy White.
Regia: Tim Albery
Scene: Michael Levine
Costumi: Jon Morrell
Corpo di Ballo: Royal opera house
Coreografo: Jasmin Vardimon
Orchestra: Royal Opera House
Direttore: Hartmut Haenchen
Coro: Royal Opera House
Maestro Coro: Ania Safonova
Luci: David Finn