Dub alpino italiano

Apre ChamoisIc 2015 con il progetto Interiors di Valerio Corzani e Erica Scherl

Foto Antonio Baiano
Foto Antonio Baiano
Recensione
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Chamoisic Chamois
07 Agosto 2015
Ad aprire la prima delle tre giornate della sesta edizione di ChamoiSic nella splendida cornice del sopraelevato e incantato comune valdostano di Chamois, ci ha pensato un trio del tutto “bizzarro”, capitanato da quel cultore di suoni e musiche che è Valerio Corzani, storica mente della programmazione musicale di RadioTre (e non solo). Un trio nato da un duo, gli Interiors, composto da Corzani stesso (alle note basse e alla ricerca sonora) e dalla violinista (elettrica in questo caso) e compagna Erica Scherl, ai quali si è aggiunta per l'occasione la splendida rotonda voce (popolare, colta, futuristica) di Serena Fortebraccio, già componente del valoroso gruppo vocale pugliese Faraualla. Un trio o un duo interprete di una sorta di minimale musica elettronica da camera (in questo senso grazie soprattutto alla Scherl e alla sua formazione accademica e antica), capace di far convivere alcune reminescenze analogiche del kraut rock più nobile (quello dei Popol Vuh per esempio) con le nuove “diavolerie” digitali “imbracciate” da Corzani, magari semplicemente all'i-Phone. Un'elettronica d'ambiente, la loro, anche fortemente ancorata a una grana sonora più profonda, ancestrale, africana, caraibica, evocata dal basso a tinozza di Corzani e dalle sue ostinate ritmiche dub al basso e alle live elettronics, tracciate alla maniera di un Bill Laswell, ma anche da certe concordanze armoniche o collazioni timbriche (il violino della Scherl interfacciato ai suoi loop ed effetti) di matrice più lontanamente barocca. Una sorta di retro dub d'avanguardia, insomma, o un'elettronica di sintesi, preceduta sul palco (invece) da una specie di mini trionfo (nel primo concerto di giornata) dell'acusticità in campo afroamericano: l'esibizione dell'orchestra giovanile aostana Sfom Jazz Orchestra, guidata e diretta dal valente sassofonista e arrangiatore Manuel Pramotton. Oltre venti elementi ottimamente amalgamati, con molti clarinetti e flauti, che a Don Redman non sarebbero dispiaciuti, per un divertente excursus nel mare magnum del repertorio per big band (da “Moanin'” a “My Funny Valentine”, passando per “Caravan”). Niente male come inizio.

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