Mahler all'americana
La Sesta con Nelsons e la Boston Symphony alla Scala per la rassegna di Expo
Recensione
classica
Per la Boston Symphony è la seconda volta alla Scala (dopo il 1993 con Seji Ozawa) e la prima per Andris Nelsons. Il concerto, che partecipa alla rassegna delle orchestre per Expo, purtroppo non ha raccolto il pubblico che avrebbe meritato: più di metà dei palchi deserti, molti posti vuoti in platea. C'è davvero da vergognarsi dei milanesi, che non sono corsi a festeggiare una della massime orchestre americane, e della grave dicotomia fra Expo e la città che in questi mesi ha penalizzato teatri, musei, ristoranti, ecc. Ma per tornare alla serata, la Sesta di Mahler ha avuto un'ottima esecuzione grazie a un organico di grande tradizione, molto diverso dalle efficientissime "macchine" statunitensi. La Boston Symphony è di rara compattezza, sicura di sé, impressionanti gli ottoni e i legni. Il direttore lettone (dalla gestualità molto plateale, a dire il vero con effetti ansiogeni per chi è in sala) ha quindi avuto modo di cesellare i momenti "pastorali" della sinfonia con estrema eleganza, quasi ai limiti della leziosità, e di scatenare i pieni sonori senza mai correre il rischio della più piccola smaliatura. Pur tuttavia lasciando alla fine la sensazione di una tensione insufficiente, quasi si trattasse di una bella vetrina sonora da ammirare.
Buon successo di pubblico, con l'appoggio della comunità americana che sosteneva gli strumentisti anche dal loggione e standing ovation.
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