Teatro nel teatro per Don Giovanni

Barenboim sul podio, regia di Carsen, per inaugurare la stagione scaligera

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Wolfgang Amadeus Mozart
07 Dicembre 2011
Primo 7 dicembre per Daniel Barenboim, in qualità di direttore musicale della Scala. La sua scelta di utilizzare un organico ridotto lasciava immaginare un'esecuzione scattante, agile; invece i tempi molto lenti hanno finito per stendere sulla partitura un velo di cupezza, mortificando gli slanci vitali che in Don Giovanni richiederebbero più leggerezza e riducendo il contrasto coi momenti drammatici. A farne le spese per esempio il duetto Là ci darem la mano, come le altre arie di Zerlina, ma anche il ballo del primo atto, con due delle tre orchestrine ridotte a violino e contrabbasso (mentre nel finale l'orchestrina è finita in buca). Con questo non sono mai venute meno la cura dei dettagli, la trasparenza e l'incisività in ogni sezione stumentale, con un'orchestra capace di assecondare ogni minima intenzione del direttore in una lettura coerente. Buoni nel complesso gli interpreti. Peter Mattei ormai veste i panni di don Giovanni con assoluta padronanza, vocale e gestuale. Qui però perde i connotati luciferini per assumere quelli di un dandy vanesio, che gira con uno stand di vestiti. Lo spinge un Leporello di lunga esperianza, un Bryn Terfel di grande presenza scenica pur con qualche eccesso di gigionismo. Anna Netrebko e Barbara Frittoli dispongono di voci ideali per le rispetti-ve donn'Anna e donna Elvira, dimostrano sicurezza in ogni frangente con fervori e gesti controllatissimi. Come pure Anna Prohaska nel ruolo di una Zerlina, ammiccante al punto giusto. Il Masetto di Stefan Kocàn è invece di fraseggio plumbeo, mentre Giuseppe Filianoti è in difficoltà nelle due arie di don Ottavio, con un'intonazione talvolta imprecisa. La messa in scena di Robert Carsen, che si avvale delle scene di Michael Levine e dei costumi di Brigitte Reiffenstudel, è un dichiarato omaggio alla Scala e ai suoi colori, il rosso e l'oro. Pur se distraente, ha riservato all'ouverture un incisivo coup de théâtre, con don Giovanni che fa cadere il sipario, svelando lo specchio del fondale dove si riflette la sala del Piermarini illuminata. Il gioco del teatro nel teatro Carsen lo sostiene durante tutta l'opera, variandolo con quinte che riproducono il sipario originale aperto, moltiplicandole in profondità, con fondalini che spuntano dai lati. Ma con conseguente calo di smalto. Tranne in due momenti. Nel sestetto, che prende origine da "Sola, sola in buio loco", su un palco arretrato e don Giovanni spettatore, le spalle alla sala, a fianco della cameriera di donna Elvira che via via spoglia. E nell'intervento del Commendatore ("Di rider finirai pria dell'aurora") dal palco reale, tra il presidente Napolitano e il premier Mario Monti, tutti riflessi sul fondale in palcoscenico. Carsen non ha dubbi sulla natura del rapporto fra donn'Anna e don Giovanni, all'inizio li mostra a letto, attribuendo al personaggio di lei una successiva perizia nel mentire. Mentre rimane decisamente irrisolta la morte del protagonista che, incontrando non l'uom di sasso, ma un "revenant" che esce dalla bara con un bastone animato, gli s'infilza volontariamente contro. Niente paura, don Giovanni in quanto immortale personaggio del teatro torna nel sestetto finale a osservare cinicamente i sei sopravvissuti sprofondare tra i fumi. Dell'inferno o forse dell'oblio. Al termine grandi applausi per tutti, qualche rapido buu per Carsen, accenni di fischi a Barenboim, subito coperti da più di 12 minuti di applausi. PS. Prima del secondo atto un loggionista ha gridato "Sei lento!" a Barenboim, subito rintuzzato da un "Buffone!" E un istante dopo don Giovanni ha attaccato "Eh via, buffone..." Segno che il gioco del teatro nel teatro ha davvero preso il sopravvento.

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