Le esplorazioni fusion di Terry Riley
Serata dedicata al Pandit Pran Nath, ma il trio con Brooks e Singh è poco minimal
Recensione
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Che un musicista riesca a spiazzare all’età di settantacinque anni non è cosa scontata, anche quando lo spiazzamento in questione lascia qualche dubbio. Succede a Padova, città che ha avuto in questi decenni un forte legame con Terry Riley e che ha invitato l’artista per un’unica data italiana con un trio transgenerazionale completato dal sassofonista George Brooks e dal percussionista Talvin Singh (uno dei personaggi chiave della scena "asian underground" inglese degli anni Novanta).
Dedicato espressamente alla mitica figura del Pandit Pran Nath, che di Riley – e molti altri – è stato maestro indiscusso, il concerto si è svolto in due generosi set, ma si è mosso prevalentemente su terreni lontani da quel minimalismo cui viene, certo in maniera riduttiva, associato.
Dopo un suggestivo raga di apertura che ha stabilito il più diretto dei collegamenti con il Pandit (l’altro nel bis), il trio ha però preferito cimentarsi in una sorta di fusion indianeggiante, con Riley – camaleontico al pianoforte in un sovrapporsi un po’ caotico di stili tra jazz e ostinazioni minimal – a guidare le danze e i due compari a seguirne le divagazioni senza troppa personalità. Il sax di Brooks è sembrato piuttosto prevedibile e sintonizzato su timbriche più adatte a una radio di smooth jazz che non alla situazione, mentre Singh disegnava abbozzi di colore con le tabla, qualche piatto di batteria e un pad di suoni elettronici, senza riuscire a fare emergere la propria capacità di sintesi dei linguaggi. Il pubblico ha comunque accolto con affetto il grande maestro, stando al gioco e seguendone la sempre imprevedibile natura esplorativa. Ma forse non gli avrebbe perdonato queste scelte, se non si fosse chiamato Terry Riley…
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