Quando l'amore è una cosa rara

Martin y Soler al Palau di Valencia, diretto da Dantone

Recensione
classica
Palau de Les Arts "Reina Sofía" Valencia
Vicente Martin y Soler
14 Febbraio 2010
Atanasio Martin Ignacio Tadeo Francisco Pelegrin, più noto con il nome di Vicente Martin y Soler, nacque a Valencia nel 1754 ma fu cittadino del mondo, campione di quel Settecento raffinato e cosmopolita che tante personalità straordinarie seppe regalare al mondo della cultura. Amico e sodale di Lorenzo Da Ponte, con cui realizzò ben cinque opere di enorme successo, fu con lui (e con Mozart) a Vienna negli anni Ottanta, poi in Italia (a Napoli, Torino, Venezia, Parma) e quindi per lungo tempo alla corte di Caterina la Grande, a San Pietroburgo. È veramente un capriccio della fortuna che la sua musica sia oggi così poco diffusa, malgrado l’indubbio valore che la solleva spesso al disopra dello stile galante imperante all’epoca. La sovrintendente del Palau de Les Arts di Valencia Helga Schmidt, che dell’approccio glocal ha fatto una regola e un punto di forza, tiene molto al rilancio dell’opera di Martin y Soler. È in questo progetto che si inserisce il nuovo allestimento di Una cosa rara andato in scena in questi giorni al Palau nel piccolo, delizioso teatro che proprio dal compositore prende il nome: uno spazio avveniristico nello stile dell’architetto Calatrava, tutto sviluppato in altezza, con la platea così scoscesa che, stando seduti, si abbraccia con lo sguardo non solo il palco ma anche la fossa dell’orchestra. La visione scenica del regista Francisco Negrin, ben assecondato dagli scenografi Rifail Ajdarpasic e Ariane Isabell Unfried e dal costumista Louis Désiré, è piena di fantasia e al contempo misurata e aderente al testo. Un grande prato digradante, pieno di anfratti, alberi e nascondigli (che rendono finalmente credibili i numerosi “a parte” previsti dal libretto), abiti in tela gommata lucida che cricchiano a ogni movimento, una recitazione vivace e spiritosa e una larghezza di mezzi che riporta un po’ di piacere e di levità in questi tempi teatralmente fin troppo austeri, fanno uno spettacolo delizioso, che meriterebbe d’essere ripreso da altri teatri europei. Splendida la direzione di Ottavio Dantone, mossa e leggera, sapiente nella scelta dei tempi e sensibile nella concertazione, malgrado qualche lieve disequilibrio tra voci e orchestra nel primo atto. Tra i cantanti, tutti adeguati, spicca il terzetto femminile, Ofelia Sala (Isabella), María Hinojosa (Lilla) e Maite Alberala (Ghita), proveniente quest’ultima dal Centro di Perfezionamento Placido Domingo. La Sala, in particolare, offre un ritratto di regina potente e insieme salottiera e autoironica, oltre che musicalmente affascinante – con la grande tenera aria del primo atto si guadagna l’unico, meritatissimo applauso a scena aperta della serata.

Interpreti: Ofelia Sala, Joel Prieto

Regia: Francisco Negrin

Scene: Rifail Ajdarpasic e Ariane Isabell Unfried

Costumi: Luis Desire

Coreografo: Ana Yepes

Orchestra: Orquestra de la comunidad Valenciana

Direttore: Ottavio Dantone

Coro: Cor de la Generalitat Valenciana

Maestro Coro: Francesc Perales

Luci: Bruno Poet

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