Se Andriessen scende agli inferi vince Bartòk
Alla Biennale una "diabolica" Zavalloni, ma il Mandarino è davvero "meraviglioso"
Recensione
classica
Alla fine la "Suite dal Mandarino Meraviglioso" di Bartòk risulta di gran lunga il lavoro più innovativo e originale della serata. Fatto curioso e anche ricco di interrogativi, trattandosi della Biennale Musica, anche perchè la cosa non sembra inconsueta in questa edizione in cui finora sono "nuovi talenti" come Varése, Ligeti o Kurtàg a fare la parte del leone. Che succede? Sulla carta il programma di questo concerto è vario e interessante, con due prime italiane per orchestra e un Andriessen/Dante/Zavalloni, ma l’esito non convince appieno. I brani di Marco-Antonio Perez-Ramirez e di Philippe Hurel sono ben scritti, ma non dicono molto di nuovo: più organico il primo, troppo monocorde il secondo dal punto di vista timbrico e in platea ci si annoia un po'. Piuttosto deludente anche il "Racconto dall’Inferno" di Andriessen, che mette in musica il canto XXI dell’Inferno di Dante: una spiritata Cristina Zavalloni in abito rosso si dimostra versatile, ma a volte un po’ debole vocalmente, specie nell’interazione con una partitura spesso sopra le righe e ritmicamente un po’monotona. Si chiude così con Bartòk e la bellezza della partitura emerge in modo ancora più netto, strappando agli spettatori applausi convinti e accalorati.
Dal punto di vista esecutivo, bravo Tito Ceccherini a dare ordine all’Orchestra della Fenice (tromboni e clarinetti sugli scudi), con un gesto equilibrato che permette a tutti i colori di trovare il giusto spazio.
Tornando poi al nostro interrogativo d’apertura, abbiamo l’impressione che più che di mancanza di talento si possa parlare di una carenza di "urgenza espressiva", resa più acuta dal confronto ancora troppo scarso con quanto "gira intorno". Forse anche per questo, pur con 90 anni sul groppone, Bartòk si aggiudica, gioco, set e partita.
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