I musicisti del Louvre incantano con una nuova versione dell'opera giovanile di Wagner
foto Marie-Noelle Robert
Recensione
classica
Théâtre du Châtelet
Richard Wagner
15 Aprile 2009
Aveva appena venti anni quando Wagner compose Die Feen, una specie di Flauto magico in versione Vita da strega. Uno dietro l’altro si sentono i modelli: Beethoven, Weber, Meyerbeer, Rossini... Eppure tutto è già inconfondibilmente wagneriano. Perché quest’opera è così poco rappresentata? La domanda affiora sin dall’inizio e non può che accompagnare lo spettatore per tutta la serata di fronte ad una produzione come quella dello Châtelet dove tutti gli elementi paiono riuniti per far risaltare l’interesse tanto musicale quanto drammatico di Die Feen.
Il catalano Emilio Sagi, che aveva firmato lo spettacolo Le chanteur de Mexico, concepisce una regia estremamente poetica, simbolicamente allusiva grazie all’uso calcolato dei colori e delle luci. Nel cast risplende Christiane Libor nei panni della fata Ada. Il suo è un ruolo più che principale: è per lunghissime scene sul palco, passando da un’aria di bravura ad una di forza. Una prova sovraumana che ricorda quella di una Norma con un tipo di vocalità che non risparmia nulla. E la Libor è assolutamente perfetta! Bello il timbro del tenore William Joyner che però, già in difficoltà all’inizio, finisce letteralmente senza voce. Laurent Naouri è parso estremamente a suo agio come attore, ma invece molto meno nei panni del cantante. Ma il vero protagonista della serata è sicuramente stato Marc Minkowski che non ha lesinato energia per le quasi quattro ore dell’opera. Sotto la sua bacchetta, Les musiciens du Louvre incantano esibendo un suono inconfondibile ed una paletta di colori particolarmente ricca.
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