Questo allestimento si sostiene sul principio della compensazione: da una parte, una regia ridotta all'osso; dall'altra, una partitura mostrata nella sua essenza caleidoscopica. Il risultato è efficace, come se il teatro degli affetti traslocasse da tipiche ambientazioni eccessive verso il tavolo di un sezionatore alla ricerca delle dinamiche dell'immobilità.
Con questo allestimento l'an der Wien esce per un momento dalle polemiche che lo coinvolgono a causa della sua parca e peculiare idea programmatica. La strada per coinvolgere nuovo pubblico sembrerebbe proprio quella di un teatro musicale che si concentri, a discapito dell'Ottocento, su epoche meno frequentate dal repertorio istituzionale. Il duo Loy – Jacobs ci riesce distillando e controllando le dinamiche degli affetti, con una lettura musicale raffinata e sottile che compensa una regia scarna, al di fuori delle coordinate termporali. Loy è spartano, ma non minimalista, nonostante il nero cubo girevole che domina la scena. I personaggi si spogliano delle parrucche e delle toghe, vestono abiti moderni e neutrali. Non c'è, però, attualizzazione, ma trasposizione in una dimensione archetipica. Anche nel muovere gli attori si sfiora l'immobilità, cosa che nelle lunghe arie – rigorosamente con da capo – dopo quattro ore di spettacolo fa sentire il suo peso. L'intento primario, mettere a nudo, quasi sezionare, i personaggi e le loro passioni, riesce. Fondamentalmente è la musica a smuovere, questo sembra il messaggio della serata. Jacobs fornisce eccellenza orchestrale, differenziazione timbrica e dinamica, quasi un caleidoscopio che si dilati oltre i suoi limiti a invadere lo spazio acustico e percettivo. Il duo Mijanovic – Cangemi ripropone la dialettica già evidenziata, ed è quindi congeniale alla produzione. Sobrio e incisivo il contralto della prima; espressivo e trainante il soprano della seconda. Ottimi anche gli altri interpreti. Una serata nel segno del dualismo, di indimenticabile tensione. Come se l'opera si fosse sdraiata contemporaneamente sul lettino di uno psicoanalista e sul tavolo di un sezionatore, alla ricerca di sensualità e anatomica precisione.
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento