Il mesto sorriso di Quasthoff
Thomas Quasthoff - in Italia per due soli concerti, a Roma e Firenze, entrambe le volte con Die Schöne Müllerin di Schubert - appare come il legittimo erede di Dietrich Fischer-Dieskau e della grande tradizione del Lied tedesco.
Recensione
classica
A costo di apparire politicamente scorretto, non si può fingere di non vedere le menomazioni fisiche di Thomas Quasthoff: non è solo compassione, nel senso etimologico della parola, per le sue condizioni, ma soprattutto ammirazione per l'amore per la musica e la strenua volontà che gli hanno permesso di superare ostacoli di ogni genere e di trarre una voce meravigliosa da un corpo martoriato. E ammirazione anche per la sua grande sensibilità d'interprete, sicuramente forgiata e acuita dalle prove per cui è passato. Sono trascorsi vari anni, ma ricordiamo ancora come fosse ieri la sua Winterreise cupa e disperata. Invece ora in Die Schöne Müllerin fa avvertire attraverso la voce un mesto sorriso, perché anche nella felicità il garzone del mugnaio sente nel cuore la nostalgia e anche sul punto di morire prova un'intima serenità e dolcezza. Per esprimere il tono di fondo unitario di tutto il ciclo, Quasthoff trova un timbro fondamentalmente costante, ma leggermente diverso in ogni Lied: è un timbro indefinibile, disincarnato, come se venisse da un altro mondo, dal mondo romantico della Sehnsucht. Nonostante l'enormità di questa sala da 2800 posti, Quasthoff riesce a ricreare il senso di un'intimo e intenso colloquio con l'ascoltatore, fondamentale nel Lied. Ciò avviene anche perché "dice" ogni sillaba e ogni parola, valorizzando tutte le sfumature d'una lingua aspra ma anche dolcissima: perfino chi capisce poco o niente del tedesco ha l'impressione che gli stia narrando all'orecchio la sua storia. La sala era quasi piena e, in un periodo in cui anche nei paesi di lingua tedesca i Lieder non hanno più molto pubblico, questo è un bel segnale.
Interpreti: Quasthoff
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