Alla Fenice tra tensioni d'amore e di stile
L'accostamento tra Erwartung di Schönberg e Francesca da Rimini di Rachmaninov proposto nella stagione della Fenice ha rivelato interpreti sensibili e una regia in cui la soluzione scenografica è specchio del tormento psicologico.
Recensione
classica
Un accostamento sulla carta intrigante, quello tra Erwartung e Francesca da Rimini: evidentemente sbilanciato, si capisce, dalla parte di Schönberg per quanto riguarda il valore dell'opera – quella di Rachmaninov, su libretto di Čajkovskij fratello è abbastanza modesta – ma testimone di un primo decennio del Secolo Ventesimo fervido di cambiamenti (e ripiegamenti).
La regia di Italo Nunziata pone la protagonista di Erwartung in uno scenario che evidenzia la natura psicoanalitica del testo: brava Elena Nebera a muoversi tra le porte di un luogo che dall'originario bosco diventa più che altro una clinica dove la scoperta dell'amante ucciso (da lei stessa?) è immersa in un onirismo lucido, ma a tratti un po' statico – è il problema principale della messa in scena di Erwartung – e vagamente didascalico. Per Francesca da Rimini il regista lavora invece con piani e specchi, tutto molto suggestivo, con i dannati che si muovono e danzano con in volto coperto da una maschera di rete metallica. Igor Tarasov è un Malatesta convincente e fanno il loro dovere anche i "poveri" Paolo e Francesca, con l'orchestra del Teatro che asseconda bene i turgori non eccelsi della partitura. Hubert Soudant, che deve passare dalla tensione al nuovo di Schönberg al tardo romanticismo di Rachmaninov, si dimostra sensibile e flessibile, evidenziando del primo le qualità timbriche e lasciando che orchestra e coro dipingano con colori drammatici le pagine della vicenda dantesca. Forse poco appariscente, quella di accostare i due lavori è una via consapevole e coerente per rendere consueto un raffronto tra le opere, specie quelle del Novecento.
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