Kat'a Kabanova seduce con Gardiner
Doppio debutto alla Scala di Kat'a Kabanova e di John Eliot Gardiner in un suggestivo allestimento acquatico di Robert Carsen
Recensione
classica
La prima messa in scena di Kat'a Kabanova e la prima apparizione di John Eliot Gardiner alla Scala hanno avuto un esito festosissimo. Meritatamente. La direzione è di prim'ordine, l'allestimento importato dall'Opera di Anversa pure, merito della splendida regia di Robert Carsen. L'impostazione è chiara e va dritta al nocciolo. Il senso di colpa, motore del dramma, diventa quasi palpabile, pesante come un'Ananke da tragedia greca, non a caso Carsen muove un coro di "doppi" di Katia in vesti bianche, specie di Ondine di Morte che fungono anche da serve di scena per smontare e rimontare delle pedane sul palco invaso dall'acqua. L'acqua grigio-nera è la costante di tutto lo spettacolo: non sappiamo come possa venir vista dalla platea, dato che lo specchio è ovviamente orizzontale, ma dai palchi è di straordinario effetto per i riflessi che genera. Moltiplicati sui pannelli laterali e talvolta sul fondale da gigantesche proiezioni in diretta, che creano immagini e personaggi fantasmatici. Durante il Preludio si scoprono subito le carte, le Ondine sdraiate sulle assi si lasciano cadere nell'acqua e galleggiano a mo' di cadaveri, proprio come nel finale quando il corpo di Kat'a (contrariamente alla tradizione) non viene recuperato da Dikoi, ma abbandonato al Volga. Durante tutto l'arco, tesissimo, dello spettacolo le assi si trasformano in pedana quadrata per gli interni, in complicati passaggi per le le scene di gruppo, in due strette passatoie parallele divise da un'invalicabile distesa d'acqua per l'ultimo incontro fra gli amanti. Niente duetto con abbrancicamenti stantii, ma un disperato scambio a distanza con gesti di desiderio e di addio, di grande tensione figurativa.
Gardiner ha guidato l'orchestra con estrema delicatezza e precisione, mai enfatizzando il mutevole accavallarsi dei temi e dando una impressionante unità al tutto. C'è da augurarsi che diventi una presenza costante alla Scala, perché ha dato la netta impressione di trovarsi a casa propria. Dolce, dolente, vocalmente a proprio agio Janice Watson nella candida veste di Kat'a; dello stesso livello l'unica coppia felice della storia, la Varvara di Elena Zhidrova e l'ottimo Kudrias di Stefan Margita. Buone le altre tre voci maschili, mentre Judith Forst nei panni della perfida Marfa è forse la più debole del cast. Non scenicamente, perché si muove con detestabile autorità e (sottolineatura di Carsen) si esibisce con disinvoltura sporcacciona in un preambolo amoroso ed etilico.
Accoglienza calorosissima del pubblico nei saluti finali, con speciale entusiasmo per Gardiner trattato come ospite d'onore.
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